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Papa: no alla xenofobia, il mondo ha bisogno di ponti

Redazione Ansa - GIUSEPPE LAMI
Pubblicato il 11-11-2019

Francesco riceve i gesuiti che celebrano il 50esimo anniversario del Segretariato

Nel mondo attuale «abbondano» le «situazioni di ingiustizia e di dolore umano», nonché «le espressioni di xenofobia e la ricerca egoistica dell’interesse nazionale», prosegue la tratta di persone umane e cresce «la diseguaglianza tra paesi e all’interno di ciascuno di essi».

Lo ha detto Papa Francesco, che questa giovedì 7 novembre ha ricevuto nell’Aula Clementina del Palazzo Apostolico vaticano i partecipanti al congresso per il 50esimo anniversario del Segretariato dei gesuiti per la Giustizia sociale e l’Ecologia, incoraggiandoli nello «sforzo creativo» del loro impegno nel servizio ai poveri, nell’educazione, nell’attenzione ai rifugiati e nella difesa dei diritti umani.

«Nei poveri, avete trovato un luogo privilegiato di incontro con Cristo. Questo è un dono prezioso nella vita di chi segue Gesù: ricevere il dono di incontrarlo tra le vittime e i poveri. L'incontro con Cristo tra i suoi preferiti riflette la nostra fede», ha detto il Papa. «Avete sperimentato una vera trasformazione personale e collettiva nella contemplazione silenziosa del dolore dei vostri fratelli.

Una trasformazione che è una conversione, un tornare a guardare il volto del crocifisso, che ci invita ogni giorno a rimanere con lui e a tirarlo giù dalla croce. Non smettete di offrire questa familiarità con i vulnerabili. Il nostro mondo diviso e rotto – ha detto il Pontefice – deve costruire ponti in modo che l'incontro umano consenta a ciascuno di scoprire negli ultimi il volto del fratello, in cui riconosciamo noi stessi, e la cui presenza, anche senza parole, reclama la nostra cura e la nostra solidarietà».

Gesù, ha proseguito Francesco, «ci spinge a seguirlo al servizio del crocifisso del nostro tempo. Al momento ci sono molte situazioni di ingiustizia e dolore umano che tutti conosciamo bene. Forse – ha aggiunto Bergoglio ricordando il proprio discorso a Redipuglia del 2014 – possiamo parlare di una “terza guerra combattuta a pezzi”, con crimini, massacri, distruzione.

Prosegue la tratta di esseri umani, abbondano le espressioni di xenofobia e la ricerca egoistica dell’interesse nazionale, cresce la disuguaglianza tra i paesi e al loro interno senza trovare un rimedio, con una progressione direi geometrica. D'altra parte, “non abbiamo mai maltrattato e ferito la nostra casa comune come negli ultimi due secoli”», ha detto Papa Francesco citando l’enciclica Laudato si’, «e non a caso, ancora una volta gli effetti più gravi di tutte le aggressioni ambientali subiscono le persone più povere».

Di fronte a questa situazione, chi segue Gesù deve iniziare dall’accompagnamento delle vittime, «per contemplare in loro il volto di nostro Signore crocifisso», e proseguire con «l’attenzione alle necessità umane che nascono, spesso innumerevoli e inapprocciabili nel loro insieme». Bisogna inoltre, ha continuato il Papa, «riflettere sulla realtà del mondo, smascherare i suoi mali, scoprire le risposte migliori, generare la creatività e la profondità apostolica che padre Nicolás (il predecessore di padre Sosa, ndr) desiderava tanto per la Compagnia. Ma – ha detto ancora – la nostra risposta non può fermarsi qui. Abbiamo bisogno di una vera "rivoluzione culturale", una trasformazione del nostro sguardo collettivo, dei nostri atteggiamenti, dei nostri modi di percepire noi stessi e di metterci davanti al mondo.

Infine, i mali sociali sono spesso confiscati nelle strutture di una società, con un potenziale di dissoluzione e morte. Da qui l'importanza del lento lavoro di trasformazione delle strutture, attraverso la partecipazione al dialogo pubblico, in cui vengono prese decisioni che incidono sulla vita di queste ultime».

Francesco ha esortato i gesuiti a proseguire con «sforzo creativo» nelle opere di servizio per i più poveri, le opere di educazione, l’attenzione ai rifugiati, la difesa dei diritti umani o i servizi sociali, e ad aiutare «la Chiesa nel discernimento» su questi temi. «Non smettete di collaborare tra voi e con altre chiese e organizzazioni civili per avere una parola in difesa dei più svantaggiati in questo mondo sempre più globalizzato.

C’è – ha evidenziato il Pontefice – una globalizzazione che è sferica, che annulla identità culturali, identità religiose, identità personali, dove tutto è uguale. La vera globalizzazione deve essere poliedrica, unire, ma ognuna conserva la propria peculiarità».

Papa Francesco ha poi sottolineato che dal 1975 diversi gesuiti sono morti proprio in missione presso i fratelli e la casa comune minacciata, ed ha ricordato, in particolare, che «quest’anno celebriamo il 30esimo anniversario del martirio dei Gesuiti dell’Università Centroamericana di El Salvador, che provocò tanta sofferenza a padre Kolvenbach (preposito generale dopo Arrupe, ndr) e lo spinse a chiedere l’aiuto dei Gesuiti in tutta la Compagnia. Molti hanno risposto generosamente. La vita e la morte dei martiri sono un incoraggiamento per il nostro servizio fino all’ultimo. E aprono percorsi per sperare».

«Il nostro mondo – ha affermato il Papa – ha bisogno di trasformazioni che proteggano la vita minacciata e difendano i più deboli. Cerchiamo cambiamenti e molte volte non sappiamo cosa dovrebbero essere, o non ci sentiamo in grado di affrontarli, ci superano. Alle frontiere dell'esclusione corriamo il rischio della disperazione, se ci occupiamo solo della logica umana. La cosa sorprendente è che molte volte le vittime di questo mondo non si lasciano trasportare dalla tentazione di arrendersi, ma si fidano e coltivano la speranza».

«Tutti noi siamo testimoni che “i più umili, gli sfruttati, i poveri e gli esclusi, possono e fanno molto... quando i poveri si organizzano diventano veri “poeti sociali”: creatori di lavoro, costruttori di case, produttori di alimenti, tutti per quelli scartati dal mercato mondiale”», ha rimarcato il Papa richiamando il proprio discorso ai movimenti popolari incontrati in Bolivia nel 2015.

L’apostolato sociale serve soprattutto a «promuovere i processi e incoraggiare la speranza. Processi che aiutano le persone e le comunità a crescere, che li portano a essere consapevoli dei propri diritti, a dispiegare le proprie capacità e a creare il proprio futuro», ha detto Francesco, che ha invitato i gesuiti ad «aprire il futuro, o per usare l'espressione di uno scrittore attuale, frequentare il futuro».

Il Papa gesuita ha infine ricordato che la Compagnia di Gesù fu chiamata sin dalle sue origini al servizio dei poveri e che, sin nella formula del 1550, sant’Ignazio di Loyola stabiliva che la Compagnia di Gesù è impegnata nel «progresso delle anime» e la «propagazione della fede» così come a «riconciliare i dissidenti, a soccorrere e servire piamente quelli che sono in carcere e negli ospedali, e a compiere tutte le altre opere di carità».

Non è, ha chiosato Francesco, «una dichiarazione di intenti», ma «un modo di vivere che avevano già sperimentato, che li riempiva di consolazione e ai quali si sentivano inviati dal Signore», e, comunque, una «traduzione ignaziana originaria giunta fino ai nostri giorni», che «volle rafforzare» padre Pedro Arrupe, storico preposito generale dei gesuiti che negli anni immediatamente successivi al Concilio vaticano II fondò il Segretariato per la Giustizia sociale e l’Ecologia.

Alla base della sua vocazione vi era «l’esperienza del contatto con il dolore umano», ha ricordato il Papa argentino, che ha sottolineato come ancora oggi «la maggioranza delle persone» sono «scartate» dalla società. Francesco ha citato in particolare una frase di padre Arrupe, nel quale scriveva della vicinanza di Dio «a quelli che soffrono, quelli che piangono, quelli che sono naufraghi in una vita impotente», sottolineando: «Quel che mi tocca profondamente è l’origine da cui questo testo viene: dalla preghiera.

Arrupe era un uomo di preghiera, un uomo che discuteva con Dio ogni giorno, e lì nasceva questa forza. Padre Pedro ha sempre creduto che il servizio della fede e la promozione della giustizia non potessero essere separati: erano radicalmente uniti. Per lui, tutti i ministeri della Compagnia dovevano rispondere, allo stesso tempo, alla sfida di annunciare la fede e promuovere la giustizia. Quello che era un compito di alcuni gesuiti, doveva diventare una preoccupazione per tutti».

Papa Francesco è tornato anche a conclusione dell’udienza sulla figura di padre Arrupe, il cui «testamento», ai gesuiti impegnati in Thailandia in un campo di rifugiati, fu di «non dimenticare la preghiera». (Iacopo Scaramuzzi - Vatican Insider)

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