fede

Opere di misericordia: visitare i carcerati

Antonio Tarallo Andrea Cova
Pubblicato il 23-03-2023

Anche in questi luoghi così bui c'è luce 

Quaresima, periodo di meditazione, ma non solo. Chiaro, infatti, è anche l’invito all’azione: rivedere la propria vita alla luce del Vangelo e cercare di approfondire la nostra relazione con Dio. L’invito da parte della Chiesa di soffermarsi sulle “Opere di misericordia” nel periodo quaresimale è un invito sempre attuale. “San Francesco patrono d’Italia” vuole ripercorrere con i lettori proprio queste “opere” alla luce del mondo contemporaneo cercando di rispondere alla domanda: come possiamo viverle nel nostro oggi?

“Visitare i carcerati”: azione assai complessa, non possiamo nasconderlo; un’azione che nel nostro quotidiano non è facile compiere anche per i motivi “pragmatici” - definiamoli così - che è possibile immaginare. Quando si pensa al carcere, di solito, si hanno nella mente quegli stereotipati fotogrammi che scorrono veloci in molti telegiornali oppure in alcuni film: delle sbarre; le celle; piccole e asfissianti finestre; donne e uomini, con lo sguardo perso nel vuoto, che cercano un po’ di luce dove sembra proprio che luce non ci sia. Eppure anche in questi luoghi così bui - almeno così vuole l’immaginario collettivo - la luce c’è. Ed è forte. E’ la luce di gesti d’amore che fuori da quelle mura addirittura non è sempre così facile trovare. L’Opera di misericordia ci invita a far visita ai carcerati, come se dovessimo noi, da fuori, dare qualche luce a chi è dentro. Eppure non è così perché chiunque parli con chi opera nelle carceri, con chi compie quest’opera di misericordia ogni giorno, può rendersi conto del mondo di bene che si nasconde dietro a quei portoni che delimitano il fuori e il dentro.

Dietro le sbarre, vi è un mondo. E chiunque voglia comprenderne qualcosa di più di questo mondo, non può fare a meno dei racconti di padre Vittorio Trani - francescano conventuale e cappellano del carcere romano di Regina Coeli - che ormai da cinquant’anni si confronta, in prima linea, con questa realtà che troppo spesso viene dimenticata dai media, oppure che troppe volte viene letta in maniera erronea. E per fare ciò, ci viene in aiuto un testo, edito da poco dalla casa editrice delle Paoline, dal titolo esplicativo “Come è in cielo, così sia in terra”, un libro-intervista - curato dai giornalisti Stefano Natoli e Agnese Pellegrini - in cui padre Vittorio Trani riesce a farci entrare proprio in quelle mura. Il segretario di Stato Vaticano, il cardinal Pietro Parolin che firma la prefazione (la postfazione è di don Antonio Rizzolo, direttore generale della Società San Paolo in Italia), scrive: “Per un momento le celle di Regina Coeli si spalancano a tutti: il cappellano è riuscito nell’intento di far concretamente “vedere” ai lettori la realtà del carcere”.

Con queste pagine, così scorrevoli, agili per la lettura ma allo stesso così profonde, il lettore realmente può “visitare i carcerati”: entrare nelle loro storie, nelle loro vite ed esperienze. E’ un modo per comprendere che, in fondo, ciò che potrebbe sembrare distante dal fuori tanto lontano da noi non è. Si riflette e si medita, dopo la lettura del testo di padre Trani, e si arriva così a una semplice considerazione che è poi quella che dovrebbe far parte della vita di ogni cristiano: non giudicare. E’ sempre facile emettere giudizi su qualcuno; più difficile considerare, invece, la colpa in sé poiché colpevole e colpa vengono messi - il più delle volte - sullo stesso piano, perdendo di vista il dettame evangelico del “Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati”.

Visitare i carcerati? Come? Compreso che sicuramente è azione complessa da compiere, che ha dei “limiti di frontiera”, ci rimane da compiere, allora, mentalmente un atto che potrebbe esser ancor più difficile. Quale? Il filosofo Baruch Spinoza lo sintetizza con queste parole: “Non deridere, non compiangere, non disprezzare, ma comprendere le azioni umane.”

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