fede

Latouche e la decrescita in sintonia con Bergoglio

Roberto Righetto
Pubblicato il 12-06-2020

Il cambiamento climatico e l’impensabile (Neri Pozza, 2017), mette a confronto la Laudato si’ e l’Accordo di Parigi

Lo scrittore indiano Amitav Ghosh, nel volume La grande cecità. Il cambiamento climatico e l’impensabile (Neri Pozza, 2017), mette a confronto quelli che ritiene i due più importanti documenti recenti in materia di ecologia, cioè l’enciclica Laudato si’ e l’Accordo di Parigi sul cambiamento climatico. Prendendo atto che entrambi i testi partono dall’assunto che il clima della Terra sta cambiando e che gli esseri umani sono largamente responsabili di tali cambiamenti, sorprende nello scrittore indiano la preferenza per la lucidità del linguaggio e la semplicità della forma del documento papale rispetto alle parole stilizzate e alla struttura complessa dell’Accordo di Parigi: «La Laudato si’ tende verso l’apertura quanto l’Accordo muove nella direzione opposta, verso riservatezza e chiusura». Nell’enciclica non c’è traccia di esuberanza né si immagina che le soluzioni possano ritrovarsi in interventi miracolosi e, a differenza dell’Accordo di Parigi, c’è una critica severa al modello di sviluppo e all’idea di crescita illimitata, al paradigma tecnocratico che si pone come ideologia dominante in Occidente e non solo. Anche l’economista e filosofo Serge Latouche, nel saggio appena tradotto da Bollati Boringhieri col titolo Come reincantare il mondo. La decrescita e il sacro esprime parole lusinghiere verso l’enciclica, apprezzandone l’analisi sulla situazione ambientale, la preoccupazione circa la possibile distruzione della Terra e le riserve sull’intreccio fra tecnoscienza e capitalismo, tutto orientato su profitto e consumo. D’altronde, che fosse possibile un dialogo fra i sostenitori della “decrescita felice” e l’economia solidale proposta dagli studiosi d’ambito cristiano era emerso dalle numerose occasioni di dialogo fra lo stesso Latouche (ma anche Caillé e Godbout) e personalità come Stefano Zamagni, Luigino Bruni e Leonardo Becchetti. Sia su questo giornale che in trasmissioni radiofoniche come Uomini e profeti, o anche durante manifestazioni pubbliche quali i festival letterari o filosofici, l’idea di “un’altra economia” è rimbalzata più volte. E se ne sarebbe senz’altro parlato all’appuntamento previsto ad Assisi a fine marzo sulla cosiddetta “economia di Francesco”, a cui sarebbero dovuti intervenire Amartya Sen, Muhammad Yunus, Vandana Shiva e Carlin Petrini, poi rimandato a novembre a causa del virus. In vari saggi, già all’inizio degli anni Novanta, Latouche, puntò l’attenzione sull’inutile enfasi sulla «fine della storia» dopo il crollo dei regimi comunisti e mise in guardia dai pericoli della globalizzazione, o meglio di quella che lui chiamava «occidentalizzazione del mondo». Il trionfalismo era segno di incoscienza, perché significava ignorare l’enorme massa dei naufraghi dello sviluppo, nel Sud del mondo ma sempre più anche nel Nord. Latouche aveva ragione. Come quando rilevò che il crollo del comunismo avrebbe segnato sì il trionfo ideologico dell’Occidente a livello planetario, ma al tempo stesso avrebbe portato un nuovo disordine mondiale. Ed è sotto i nostri occhi. Eppure, nonostante con l’avvento della globalizzazione le disuguaglianze siano cresciute, sia nel cosiddetto mondo industrializzato che nei Paesi in via di sviluppo, da parte dell’establishment politico, economico e finanziario mondiale si dà per scontato che il capitalismo sia intoccabile, e le denunce di papa Francesco vengono snobbate o assai criticate, in particolare dagli economisti. Basti pensare alle reazioni negative, soprattutto negli ambienti americani, suscitate dalla messa in dubbio della teoria della «ricaduta favorevole » espressa nella Laudato si’. Su questo Latouche si dice d’accordo col Papa: «Francesco individua molto giustamente nella religione della crescita il nocciolo della dismisura del sistema». E aggiunge che l’enciclica smaschera le false soluzioni, sia quelle di alcuni ecologisti che negano la centralità dell’uomo rispetto al creato, sia di alcuni circoli economici che sostengono – e qui si cita Bergoglio – «che l’economia attuale e la tecnologia risolveranno tutti i problemi ambientali, allo stesso modo in cui si afferma che i problemi della fame e della miseria si risolveranno semplicemente con la crescita del mercato». Per Latouche dal testo vaticano emerge una concezione critica del totalitarismo tecnologico e finanziario simile a quella espressa da Jacques Ellul, l’idea della dismisura e dell’illimitatezza, dello sfruttamento incondizionato delle risorse della Terra. E, aggiungiamo noi, di Romano Guardini, che forse Latouche non conosce, citato ben otto volte dalla Laudato si’, più di qualsiasi altro pensatore. La conclusione di Latouche, che nella prima parte del volume dedica spazio alla “religione dell’economia”, che a partire dalla modernità ha a poco a poco sostituito la religione stessa, elaborando i propri dogmi intoccabili, costruendo i propri templi e dando vita a propri riti, è che «con questa enciclica i cattolici partigiani della decrescita, fin qui emarginati, hanno la possibilità di farsi sentire apertamente, e sono confortati anche i cristiani di altre confessioni, come il teologo protestante Martin Kopp, che non esita a dichiararsi sostenitore della decrescita perché cristiano». Latouche indica anche quello che secondo lui rimane un limite nell’analisi economica compiuta dalla Chiesa cattolica e critica davvero eccessivamente i testi elaborati da Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Così come esprime una critica parziale all’enciclica di Bergoglio, colpevole a suo dire di non suggerire una fuoriuscita dall’economia: “Francesco cerca di promuovere piuttosto un’altra economia”. Qui è davvero difficile seguire il filosofo francese, che pare propenso a condannare l’economia sic et simpliciter. D’altro canto, ciò che di buono risalta dal libro è l’abbandono di esclusive suggestioni animiste o panteiste, la disponibilità a riconoscere la non sovrapponibilità fra cristianesimo e capitalismo, l’apertura verso una trascendenza immanente che fa della cultura del dono il suo riferimento.

Cari amici la rivista San Francesco e il sito sanfrancesco.org sono da sempre il megafono dei messaggi di Francesco, la voce della grande famiglia francescana di cui fate parte.

Solo grazie al vostro sostegno e alla vostra vicinanza riusciremo ad essere il vostro punto di riferimento. Un piccolo gesto che per noi vale tanto, basta anche 1 solo euro. DONA