fede

La testimonianza della nipote di Madre Teresa

Redazione online Avvenire
Pubblicato il 30-11--0001

Quella zia lontana, icona mondiale dell’amore per i poveri, per lei è sempre stata la “Madre”, ma oggi è soprattutto un dono. Agi Bojaxhiu, 72 anni, è l’unica nipote di Madre Teresa di Calcutta. È la figlia del fratello maggiore della “santa” degli ultimi e vive a Palermo, vedova di Giuseppe Guttadauro Mancinelli, da cui ha avuto due figli Domenico e Massimiliano. Conserva con tenerezza i ricordi di quella zia speciale, soprattutto quell’intenso modo di pregare incessantemente, quella schiettezza, quella dedizione totale ai sofferenti. «Mio padre mi raccontava che, da bambini, lei gli portava da mangiare quando era in punizione, oppure gli faceva i compiti – sorride la signora Agi –. La verità è che la sua vocazione a fare del bene è nata in quella famiglia che viveva con le porte aperte agli altri. Lì, in Albania, addirittura si usava ripetere: “Sei generoso come un Bojaxhiu”».

Madre Teresa è ammirata in tutto il mondo per la sua testimonianza. Come vi siete conosciute e che rapporto avete avuto?

Per me è sempre stato normale avere Madre Teresa in famiglia. Ci siamo conosciute nel 1966 a Roma, quando lei inaugurò la prima casa per i poveri e fu un momento straordinario. Lei non vedeva mio padre da trent’anni: si abbracciarono, fu molto emozionante. È stato bello conoscere una donna che seminava tanto bene nel mondo. Lei mi scriveva spesso, mi mandava benedizioni, mi chiedeva di pregare per lei. È stata varie volte a casa qui a Palermo e anche io sono stata spesso in India a trovarla, soprattutto quando sapevo che stava male, avendo contratto virus pericolosi nei luoghi più poveri della Terra.

Vedendola all’opera nei sobborghi di Calcutta, a contatto con la povertà estrema, con la morte, che cosa le è rimasto impresso?

Il grande amore che Madre Teresa e queste suore offrivano e offrono alle persone che hanno davvero bisogno. C’è una gentilezza innata con cui loro diffondono amore nella casa dei moribondi, che vanno a cercare davvero nella spazzatura. E non è vero, come qualcuno ha voluto insinuare, che Madre Teresa volesse convertire coloro che aiutava. Li raccoglieva per strada, li accudiva, senza chiedere niente in cambio.

Che cosa dice oggi l’esempio della religiosa albanese alla nostra società?

È una testimonianza che parla soprattutto ai giovani che hanno bisogno di modelli veri, di scelte radicali. Non è un caso che tra le Missionarie della Carità non ci sia un calo di vocazioni, perché fanno quello di cui c’è bisogno, senza molte parole. Le suore di Madre Teresa aspettano la grazia di Dio che puntualmente arriva a sostenere le loro opere. Questa è una cosa che rafforza la mia fede, è la prova che il Signore aiuta sempre.

Papa Francesco ha voluto canonizzarla nell’Anno Santo della misericordia. Come legge questo segno?

Quando penso alla misericordia, penso a Madre Teresa, che ne è la personificazione. Lei si è data completamente agli altri. Ricordo quello che faceva con i bambini accolti negli orfanotrofi, li seguiva, li faceva studiare. Ne sono venuti fuori anche dottori o professionisti.

Madre Teresa non possedeva praticamente nulla. Quali oggetti conserva di sua zia?

Il ricordo più caro è un Rosario di vetro che mi diede tanti anni fa. Ne mandava anche a papa Wojtyla con cui aveva un rapporto straordinario, un’amicizia bellissima. Durante la malattia di Madre Teresa, il Pontefice le telefonava di persona tutti i giorni. Durante la beatificazione nel 2003, ebbi l’onore di portare il calice durante l’offertorio e il Papa mi fissò: aveva lo stesso colore degli occhi di mia zia, la stessa espressione. Poi ho una statuetta della Madonna di Fatima che Madre Teresa ricevette proprio a Fatima e, tornando a Roma, mi disse: “La voglio dare a te”. Durante una sua lunga malattia, portai quella statua in India, le suore la misero in una cappellina dove si celebrava ogni giorno la Messa. Quando “Madre” si rimise in salute, volevo lasciarla a lei. La consideravo miracolosa, ma lei insistette: “No, devi portarla con te”.

Mentre le annunciarono che quella donna straordinaria era morta, che cosa pensò? Fu un momento molto triste, ma l’avevo già salutata tre o quattro mesi prima, quando stava già molto male. Mi recai in India e ricordo che lei mi abbracciò con intensità, cosa che non faceva spesso, e mi disse: “Ricordati che sei l’ultima dei Bojaxhiu”. E mi regalò due caramelle. (Alessandra Turrisi-Avvenire)

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