"La sofferenza che non tocca i propri figli è lontana". Le riflessioni di Antonio Tarallo
Una riflessione sui martiri cristiani, sull'intransigenza religiosa, sul silenzio dell'informazione
Quarta domenica di Quaresima
Estratto da Cap. VIII
Anch’io lo guardo
e contemplo,
questo volto muto
e mi chiedo
come possa sopportare
in silenzio
tanto insulto?
Non ha più vesti.
E’ nudo.
Cadavere,
neanche forse una degna sepoltura,
culla a quel capo
che una volta
aveva sorriso,
nell’Amore creduto.
Crolla, l’Utopia Bella,
crolla
la Luce
e vince la tenebra.
Arrancano allora,
i suoi piedi
stanchi
del martirio
a lui sì vicino.
Rabbia e sconforto
si mischiano
nella loquace scena.
Trema la schiena.
Percossa e striata.
“Dio,
Padre,
tu non mi avevi detto
che fosse questa
la fine
del Sogno
che avevo portato!
Perché, perché
Signore?
Io avevo solo amato!”.
Eppure, dicendo,
rimane convinto
che ci sarà
il Cielo
dorato.
“Rimase immobile per un istante. Non grido'. Cadde dolcemente come cade un albero. Non fece neppure rumore sulla sabbia”. Così lo scrittore francese Antoine de Saint-Exupéry, lasciava morire il suo personaggio, “Il Piccolo Principe”. E in questa caduta, lieve, impalpabile come non vedere anche le molteplici morti nel silenzio di tanti martiri cristiani in terre dilaniate dal terrore, dalla morte, dall’intransigenza religiosa che di qualsiasi natura sia non ha mai certo fatto bene all’Umanità. La mappa geografica e i numeri nel Mondo sono spaventosi. E ancor più spaventoso è il rumoroso (poiché le notizie che fanno più frastuono sono altre) silenzio che ricopre tutte queste storie che vedono coinvolti donne, bambini, uomini che hanno una sola colpa: essere cristiani. O appartenere a una minoranza religiosa scomoda. Cina, Laos, Indonesia, Vietnam, Corea del Nord, Pakistan, Nigeria, Siria, Iraq e Centrafrica: sono solo alcuni Paesi che vivono questa sottaciuta sofferenza. Di storie terribili ce ne sarebbero innumerevoli, tutti con un solo finale: la morte innocente. Il martirio. Una, ad esempio, forse perché la crudeltà lascia senza parole: i terroristi islamici di Boko Haram attaccano per la seconda volta il villaggio cristiano di Attagara, nel nord della Nigeria. Hassan, un bambino cristiano di appena tre anni,appena li vede arrivare, fugge via, ma i miliziani lo bloccano. Gli ordinano di consegnare la Bibbia che ha in mano, ma lui, fermo, dice no. Dice no alla violenza. Allora, strappano di mano il libro, e lo gettano in un rogo acceso, lì vicino. Hassan corre per recuperare la sua Bibbia, con un bastone. Un membro di Boko Haram, per impedirglielo, lo colpisce alla testa con il calcio del kalashnikov e lo spinge dentro il fuoco. Era il novembre 2015, ma anche oggi è così. Non è cambiato nulla. E soprattutto non è cambiato il silenzio su questi accadimenti che non hanno la stessa potenza mediatica di qualche leggero show d’intrattenimento. Il pubblico, la stragrande maggioranza del pubblico, non vuole guardare la realtà, la sofferenza. E’ lontana, lontana. Non “tocca” i propri figli, quindi non può avere importanza.
“Non ha più vesti./ E’ nudo./ Cadavere,/ neanche forse una degna sepoltura”. L’Oggi? Fosse comuni con centinaia di corpi, testimonianze della violenza cieca dello Stato Islamico nei territori controllati. Una nota agenzia di stampa internazionale ha provato l'esistenza di almeno 72 sepolture comuni in Siria e in Iraq, per un totale di corpi che va dai 5200 fino ad almeno 15000. E la polvere che ricopre tutti questi cadaveri non è solo quella del terriccio, ma soprattutto una polvere – ancora più fitta – di silenzio di tutti gli organi di informazione.
Antonio Tarallo
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