fede

Il Perdono di Assisi, festa della tenerezza di Dio e della Vergine

P. Raniero Cantalamessa, ofmcap Flickr
Pubblicato il 02-08-2020

San Bonaventura, nella sua vita di san Francesco, scrive: “Riguardo a questo luogo [Santa Maria degli Angeli o della Porziuncola], un frate, a Dio devoto, prima della sua conversione ebbe una visione

San Bonaventura, nella sua vita di san Francesco,  scrive: “Riguardo a questo luogo [Santa Maria degli Angeli o della Porziuncola], un frate, a Dio devoto, prima della sua conversione ebbe una visione degna di essere riferita. Gli sembrò di vedere innumerevoli uomini, colpiti da cecità, che stavano attorno a questa chiesa, in ginocchio e con la faccia rivolta al cielo. Tutti protendevano le mani verso l'alto e, piangendo, invocavano da Dio misericordia e luce. Ed ecco, venne dal cielo uno splendore immenso che, penetrando in loro tutti, portò a ciascuno la luce e la salvezza desiderate” (Leggenda maggiore II, FF 1048-1049).

Il Perdono di Assisi può essere visto come la continuazione, nel tempo e nello spazio, di questo miracolo. Chi può contare le schiere di uomini e donne che, nei secoli, da questo luogo (e, in seguito, spiritualmente da ogni Chiesa francescana della terra),  hanno proteso il volto al cielo invocando la misericordia di  Dio?

Gli uomini del medio evo sentivano in modo acuto il senso del peccato come il male assoluto. A noi moderni questo può apparire persino esagerato e morboso, ma è perché abbiamo perso del tutto il senso della serietà del peccato. Almeno nei primi tempi, quando il movimento era genuinamente religioso e non inquinato da mire politiche, era il desiderio di ottenere la remissione dei peccati che spingeva schiere di uomini a recarsi in crociata in Terra Santa, lasciando i loro beni e i loro cari, con forte probabilità di non rivederli mai più. 

Francesco rappresenta lo stadio più puro di questo spirito del vero pellegrinaggio. Egli intraprese tutti e quattro i grandi pellegrinaggi del suo tempo: in Terra Santa (due volte, una interrotta a metà, l’altra andata a buon fine), a Santiago di Compostela, a Monte Sant’Angelo nel Gargano e ripetutamente alla tomba di San Pietro a Roma.

Sempre attento agli umili e ai poveri, Francesco pensa, tuttavia, a tutti quelli che non potranno mai permettersi questi pellegrinaggi lontano. Chiede perciò a Dio di venire lui in pellegrinaggio da loro. Nasce così –non sappiamo in che circostanze – il Perdono di Assisi. Dio esaudisce la preghiera di Francesco e concede il perdono dei peccati a quanti visiteranno l’umilissima chiesetta di Santa Maria della Porziuncola.

Al centro di tutto questo non c’è tanto l’indulgenza, nel senso deteriore che la parola acquisterà in seguito all’abuso fatto di essa. C’è invece –anche nel nome – la realtà del “perdono”. Esso ci parla di  Dio e della sua misericordia, più ancora che del peccato e del peccatore. Una misericordia che, per i piccoli e i poveri, si tinge di tenerezza. Sì, il Perdono di Assisi è la festa della tenerezza di  Dio  e della sua Santissima Madre verso i peccatori.

La misericordia di  Dio però è senza condizioni, ma non è senza conseguenze! Dal dono scaturisce il dovere. La parola misericordia (ḥesed in ebraico, eleos, in greco) ricorre nella Sacra Scrittura in due contesti e con due significati diversi, anche se interdipendenti. Nella prima accezione, esso indica  il sentimento che  Dio nutre verso le sue creature; nella seconda accezione indica il sentimento che le creature devono nutrire le une verso le altre. In altre parole, dalla misericordia di  Dio verso di noi,  di cui facciamo l’esperienza nel sacramento della riconciliazione e in modo diverso nel Perdono di Assisi, nasce il dovere dell’altra misericordia, quella che dobbiamo avere gli uni verso gli altri. 

Il Perdono di Assisi, come ogni altra grazia del genere – come è stato l’anno giubilare della misericordia celebrato quattro anni fa per volere di papa Francesco - non può consistere solo in un sistemare il nostro passato, come chi è felice di aver saldato un conto sospeso e pagato un debito. L’indulgenza non è qualcosa di esclusivamente retroattivo, una specie di sanatoria, come i condoni umani; deve essere qualcosa che influisce anche sul nostro futuro. In altre parole, una spinta al cambiamento. A questo ci spingono le parole di Gesú nel Vangelo: “Siate misericordiosi come è misericordioso il Padre vostro celeste” (Lc 6, 36), “Beati i misericordiosi perché troveranno misericordia” (Mt 5,7).

Una immagine ci aiuta a ricordare la necessità di essere misericordiosi gli uni con gli altri per continuare a ottenere misericordia da parte di  Dio. In Terra Santa ci sono due mari: c’è il Mare, o Lago,  di Galilea e il Mar Morto. Essi sono formati dall’acqua dello stesso fiume, il Giordano. Eppure uno di essi, il Mare di Galilea, è pieno di vita e di pesci; il Mar Morto, è davvero morto; non c’è vita in esso, né un filo d’erba sulle sue sponde, solo salsedine. Come mai? Una spiegazione che sembra risalire agli antichi maestri d’Israele è questa: il Mare di Galilea riceve le acque del Giordano, ma non le trattiene per me; le lascia defluire per irrigare la valle del Giordano; il Mar Morto trattiene tutte per se le acque che riceve e non un filo d’acqua esce da esso.  La conclusione della storia è semplice: noi vogliamo essere il mare di Galilea o il Mar Morto? Se vogliamo essere il Mare di Galilea, bisogna che facciamo scorrere sugli altri, a cominciare da quelli più vicini – il marito, la moglie, i fratelli della comunità – le acque della misericordia che sempre - e in modo in speciale nel Perdono di Assisi - riceviamo da  Dio.

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