Il Papato al centro del Medioevo
È l'istituzione più duratura d'Europa
Con tutta la buona volontà, non si può certo dire che i Papi siano stati sempre un esempio. Ci sarebbe, per dire, «il gran prete, a cui mal prenda!» che Dante prenota per il suo Inferno augurandogli, nelle parole del conte Guido da Montefeltro, gli venga un colpo. Ma Bonifacio VIII non era neanche il peggio, faceva notare lo stesso poeta che stipa di Papi la terza bolgia dei simoniaci: ficcato a testa in giù in un pozzo occupato da svariati predecessori, Niccolò III prima si illude che il Caetani sia arrivato in anticipo («Se' tu già costì ritto,/ se' tu già costì ritto, Bonifazio?») e poi informa Dante e Virgilio che dopo di lui sarà il turno d' un pastore «di più laida opra», Clemente V, quello che trasferì la Santa Sede in Francia. Eppure il Papato, con tutti i suoi problemi, «è l' unica istituzione che congiunge il passato dell' Europa antica e medievale con il presente», come scrive Bernhard Schimmelpfennig nel volume oggi in edicola con il «Corriere della Sera». Certo nel 1962, più di sei secoli dopo Dante e otto mesi prima di divenire Papa Paolo VI, il cardinale di Milano Giovanni Battista Montini avrebbe ascritto all' opera della «Provvidenza» il «crollo» di Porta Pia e la perdita del potere temporale che Pio IX, nel 1870, non aveva preso bene.
Ma nel libro Il Papato. Antichità, Medioevo, Rinascimento lo storico tedesco mostra come tale istituzione sia rimasta, nella sua essenza, intatta. Sono crollati gli imperi e i Papi stanno ancora lì, a incarnare un ministero definito in età medievale: «Fino al XV secolo si è realizzato - nonostante l' importanza del Concilio di Trento - il fondamento sul quale poggia il Papato nell' età moderna». Lo sguardo dello storico registra con scetticismo le acquisizioni archeologiche e il fondamento del primato, definito dalla Chiesa a partire dal capitolo 16 del Vangelo di Matteo, versetto 18: «E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa». Tra l' altro: quando Papa Francesco, appena eletto, definì se stesso «vescovo di Roma», molti pensarono ad una sorta di deminutio del ruolo papale. Non era così, visto che si tratta del titolo più antico e importante: per la Chiesa, il Papa è tale in quanto vescovo di Roma, il primato è alla sede di Roma perché luogo del martirio di Pietro e di Paolo.
Bernhard Schimmelpfennig, tuttavia, sostiene che almeno fino a Costantino la faccenda non fosse così pacifica: «La comunità cristiana di Roma, il centro dell' Impero romano, guadagnò in genere prestigio tra i fedeli dopo la fine di Gerusalemme, ai tempi dell' imperatore Vespasiano. Vi aveva contribuito il culto dei due apostoli Pietro e Paolo, quali presunti fondatori della comunità locale, già a partire dal II secolo. A partire grosso modo da questo stesso periodo, la comunità romana fu diretta da un vescovo che, analogamente a quanto avveniva presso altre comunità, conseguì all' interno di essa un ruolo "monarchico", rispettato anche altrove - come a Cartagine e in Spagna - durante le persecuzioni, a partire dall' imperatore Decio. D' altro canto, il presule romano non deteneva ancora alcun primato rispetto ad altri, a parte, forse, i vescovi delle comunità dei dintorni di Roma». È dalla metà del IV secolo, scrive, che si fece strada l' affermazione della successione petrina e i vescovi romani «impiegarono i diritti formulati e rivendicati per Roma anche per sottolineare un primato nei riguardi degli imperatori e delle comunità occidentali e orientali». Comincia qui l' attenta ricognizione di Schimmelpfennig attraverso la dominazione bizantina e quella carolingia, l' influsso crescente della nobiltà romana e la lotta per le investiture, scismi e condanne per eresia, fino all' ampliamento e alla definizione dell' autorità papale dal XII secolo alle porte del Rinascimento. Il Papato come lo vediamo ancora oggi, si legge nel libro, ne è l' effetto.
Si richiama ad esempio l' eliminazione del «nicolaismo», tra l' XI e il XII secolo: «Questo termine, legato al nome di una setta dei primi tempi cristiani, indicava la convivenza di membri del clero con donne. D' ora in poi, il celibato si affermò quale norma vincolante non solo per monaci e canonici, ma anche per i detentori dei più alti gradi di consacrazione, dal suddiacono al vescovo». Così, anche dopo il Concilio di Trento, «le pretese di supremazia del Papato, sviluppate nell' età tardo-antica e nel Medioevo, continuarono a sopravvivere, come avvenne anche per l' accentramento della Chiesa cattolica nel Pontefice e nella sua curia». Resta da stabilire come sia stato possibile, nonostante tutto, a meno che non c' entri davvero la Provvidenza evocata da Montini. Come diceva il cardinale Ercole Consalvi, segretario di Stato di Pio VII, a Napoleone che minacciava di distruggere la Chiesa: «Non ci riuscirà, maestà. Non ci siamo riusciti neanche noi». (Corriere della Sera)
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