Il Papa: il nazionalismo esasperato produce razzismo o antisemitismo
Udienza alla Pontificia Accademia per le Scienze Sociali: «La storia ci insegna dove portano i nazionalismi». Oggi «correnti aggressive» contro gli stranieri: «Il modo in cui una Nazione accoglie i migranti rivela la sua visione della dignità umana». La stagione del disarmo sembra già passata, si rischia un «olocausto nucleare», spesso trattati con disumanità. Infine esprime preoccupazione per la «nuova stagione di confronto nucleare» che sembra profilarsi che, cancellando i progressi del passato, «moltiplica il rischio di guerre» se non di un vero e proprio «olocausto nucleare». C’è grande inquietudine nelle parole di Papa Francesco ai partecipanti alla plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali che, iniziata il 1°, si conclude domani 3 maggio nella Casina Pio IV.
“Nazione, Stato, Stato Nazione” è il titolo della plenaria. «Un tema di permanente attualità», nota il Papa, di fronte a fenomeni che - dall’Europa all’America Latina - vedono gli Stati sempre più «asserviti agli interessi di un gruppo dominante» e opprimenti nei confronti delle minoranze etniche, linguistiche o religiose sul loro territorio.
Nel suo intenso discorso Bergoglio richiama la Laudato si’ e cita San Tommaso, Aristotele e Simone Bolivar per criticare le situazioni, ormai «sotto gli occhi» di tutti, in cui «alcuni Stati nazionali attuano le loro relazioni in uno spirito più di contrapposizione che di cooperazione». «Va constatato - rileva anzitutto il Pontefice - che le frontiere degli Stati non sempre coincidono con demarcazioni di popolazioni omogenee e che molte tensioni provengono da un’eccessiva rivendicazione di sovranità da parte degli Stati, spesso proprio in ambiti dove essi non sono più in grado di agire efficacemente per tutelare il bene comune».
Le sfide dell’umanità oggi sono molteplici e «a carattere mondiale», il Papa le elenca: «Lo sviluppo integrale, la pace, la cura della casa comune, il cambiamento climatico, la povertà, le guerre, le migrazioni, la tratta di persone, il traffico di organi, la tutela del bene comune, le nuove forme di schiavitù». Non si possono affrontarle divisi, ma uniti.
La Chiesa, infatti, «ha sempre esortato all’amore del proprio popolo, della patria, al rispetto del tesoro delle varie espressioni culturali, degli usi e costumi e dei giusti modi di vivere radicati nei popoli», ma, al contempo, «ha ammonito le persone, i popoli e i governi riguardo alle deviazioni di questo attaccamento quando verte in esclusione e odio altrui, quando diventa nazionalismo conflittuale che alza muri, anzi addirittura razzismo o antisemitismo», rimarca Francesco.
Ribadisce quindi l’angoscia per «il riemergere, un po’ dovunque nel mondo, di correnti aggressive verso gli stranieri, specie gli immigrati, come pure quel crescente nazionalismo che tralascia il bene comune». «Così - avverte il Papa - si rischia di compromettere forme già consolidate di cooperazione internazionale, si insidiano gli scopi delle Organizzazioni internazionali come spazio di dialogo e di incontro per tutti i Paesi su un piano di reciproco rispetto, e si ostacola il conseguimento degli Obiettivi dello sviluppo sostenibile approvati all’unanimità dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 25 settembre 2015».
È vero che è «dottrina comune» che lo Stato sia «al servizio della persona e dei raggruppamenti naturali delle persone quali la famiglia, il gruppo culturale, la nazione come espressione della volontà e i costumi profondi di un popolo, il bene comune e la pace». Troppo spesso, però, «gli Stati vengono asserviti agli interessi di un gruppo dominante, per lo più per motivi di profitto economico, che opprime, tra gli altri, le minoranze etniche, linguistiche o religiose che si trovano nel loro territorio».
In questa ottica, ad esempio, «il modo in cui una Nazione accoglie i migranti rivela la sua visione della dignità umana e del suo rapporto con l’umanità». Perché «ogni persona umana è membro dell’umanità e ha la stessa dignità», e «quando una persona o una famiglia è costretta a lasciare la propria terra va accolta con umanità», afferma Francesco.
«Il migrante non è una minaccia alla cultura, ai costumi e ai valori della nazione che accoglie. Anche lui ha un dovere, quello di integrarsi nella nazione che lo riceve». Integrare che non vuol dire «assimilare», ma «condividere il genere di vita della sua nuova patria, pur rimanendo sé stesso come persona, portatore di una propria vicenda biografica».
In questo modo, il migrante potrà presentarsi ed essere riconosciuto come «un’opportunità per arricchire il popolo che lo integra». All’autorità pubblica spetta pertanto il compito di «proteggere i migranti e regolare con la virtù della prudenza i flussi migratori, come pure promuovere l’accoglienza in modo che le popolazioni locali siano formate e incoraggiate a partecipare consapevolmente al processo integrativo dei migranti che vengono accolti».
«Uno Stato che suscitasse i sentimenti nazionalistici del proprio popolo contro altre nazioni o gruppi di persone verrebbe meno alla propria missione», evidenzia il Papa e, con chiaro riferimento ai sentimenti populisti che favorirono l’ascesa del Terzo Reich, aggiunge: «Sappiamo dalla storia dove conducono simili deviazioni. Penso all’Europa del secolo scorso».
«Lo Stato nazionale non può essere considerato come un assoluto, come un’isola rispetto al contesto circostante», prosegue Papa Francesco. È la globalizzazione - non solo economica ma anche degli scambi tecnologici e culturali - che lo dimostra: «Lo Stato nazionale non è più in grado di procurare da solo il bene comune alle sue popolazioni. Il bene comune è diventato mondiale e le nazioni devono associarsi per il proprio beneficio».
È, perciò, da auspicare che non si perda in Europa la consapevolezza dei «benefici» apportati dal «cammino di avvicinamento e concordia tra i popoli intrapreso nel secondo dopoguerra». Ma anche in America Latina, il Papa chiede che non vada perduto lo spirito della lotta di Simón Bolivar che «spinse i leader del suo tempo a forgiare il sogno di una Patria Grande, che sappia e possa accogliere, rispettare, abbracciare e sviluppare la ricchezza di ogni popolo. Questa visione cooperativa fra le nazioni - dice - può muovere la storia rilanciando il multilateralismo, opposto sia alle nuove spinte nazionalistiche, sia a una politica egemonica».
L’umanità eviterebbe così «la minaccia del ricorso a conflitti armati ogni volta che sorge una vertenza tra Stati nazionali», come pure eluderebbe «il pericolo della colonizzazione economica e ideologica delle superpotenze, evitando la sopraffazione del più forte sul più debole, prestando attenzione alla dimensione globale senza perdere di vista la dimensione locale, nazionale e regionale».
Contro una globalizzazione immaginata come «sferica», che livella le differenze e soffoca la localizzazione, Jorge Mario Bergoglio propone dunque una globalizzazione «poliedrica», che sostenga cioè «una sana lotta per il mutuo riconoscimento fra l’identità collettiva di ciascun popolo e nazione», così da arrivare ad «uno stato generale di pace e di concordia». «Le istanze multilaterali sono state create nella speranza di poter sostituire la logica della vendetta, del dominio, della sopraffazione e del conflitto con quella del dialogo, della mediazione, del compromesso, della concordia e della consapevolezza di appartenere alla stessa umanità nella casa comune», afferma il Papa.
Guarda poi con apprensione alla «stagione del disarmo nucleare multilaterale» che appare già «sorpassata» e che «non smuove più la coscienza politica delle nazioni che possiedono armi atomiche». Anzi, ammonisce il Pontefice, «sembra aprirsi una nuova stagione di confronto nucleare inquietante, perché cancella i progressi del recente passato e moltiplica il rischio di guerre, anche per il possibile malfunzionamento di tecnologie molto progredite ma soggette sempre all’imponderabile naturale e umano». Il monito del Papa è chiaro: «Se, adesso, non solo sulla terra ma anche nello spazio verranno collocate armi nucleari offensive e difensive, la cosiddetta nuova frontiera tecnologica avrà innalzato e non abbassato il pericolo di un olocausto nucleare».
Lo Stato, dice, è chiamato perciò ad «una maggiore responsabilità». Certo, sempre «mantenendo le caratteristiche di indipendenza e di sovranità e continuando a perseguire il bene della propria popolazione», perché qui non si sta parlando di «un universalismo o un internazionalismo generico che trascura l’identità dei singoli popoli» che, anzi, «va sempre valorizzata come apporto unico e indispensabile nel disegno armonico più grande». Oggi, però, conclude il Papa, è compito di ogni Stato di «partecipare all’edificazione del bene comune dell’umanità, elemento necessario ed essenziale per l’equilibrio mondiale».
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