fede

Il Martire è un eroe?

Mario Scelzo ANSA
Pubblicato il 14-04-2017

MARTIRI



Il sacerdote Joaquin Hernande Sifuente, 43 anni, noto per il suo impegno contro il narcotraffico, sequestrato e ucciso nel Gennaio 2017 nello Stato di Coahuila, in Messico.  Veronika Rackova, delle Suore Missionarie dello Spirito Santo, di anni 58, uccisa probabilmente da membri dell’esercito di Liberazione del Popolo del Sud Sudan.  Padre Jaques Hamel, assassinato ad 86 anni lo scorso 26 Luglio nella Chiesa di Saint-Etienne-du Rouvray, in Francia da due giovani terroristi islamici mentre celebrava la messa.

Questi sono solo alcuni degli oltre cento nomi ricordati nella Veglia di Preghiera in ricordo di quanti in questi ultimi anni hanno offerto la loro vita per il Vangelo, presieduta lo scorso Martedì 11 Aprile da Sua Eminenza Cardinal Kevin Joseph Farrell nella Basilica di Santa Maria in Trastevere.

Alla veglia – che ovviamente ha ricordato anche i recentissimi attentati contro le Chiese Copte in Egitto - hanno partecipato rappresentanti delle varie confessioni: la Chiesa evangelica luterana, il Patriarcato ecumenico, la Chiesa anglicana e quella ortodossa di Romania. Il parroco Marco Gnavi e Alberto Quattrucci, della Comunità di Sant’Egidio hanno scandito i nomi di sacerdoti, suore, operatori, frati e monaci uccisi per la loro fede.

“Il martire è colui che coscientemente affronta gravissime sofferenze fisiche e morali in nome di una fede o per un alto ideale”, ha affermato Farrell. “Quando si parla di martirio cristiano si pensa alle prime comunità. In realtà, la storia della Chiesa è attraversata da storie di innumerevoli uomini e donne che hanno versato il loro sangue per la fede. In questi ultimi decenni specialmente, si è registrata una recrudescenza delle persecuzioni a danno dei cristiani che ne hanno fatto il gruppo religioso più perseguitato di sempre”.

Ha però proseguito Farrel: “I martiri sono dei visionari. Sognano un’umanità riconciliata e una pace possibile tra gli uomini. Credono fermamente con il Salmista ch’è “bello e dolce che i fratelli vivano insieme!” (Sal 133,1). Nel nostro mondo in cui si fa a gara a chi innalza muri sempre più alti ai confini, in cui si odono i frastuoni incessanti della guerra, in cui frange di estremisti di ogni fazione rinnegano la ricchezza della diversità, questi “tizzoni di speranza” annunciano l’alba di un nuovo mondo in cui – come dice il profeta Isaia nella sua visione escatologica – “Il lupo dimorerà insieme con l’agnello, la pantera si sdraierà accanto al capretto; il vitello e il leoncello pascoleranno insieme e un fanciullo li guiderà” (Is 11,6). Completando nella loro carne quello che manca alle sofferenze di Cristo, i martiri affrettano l’avvento definitivo del Regno messianico del principe della pace che guida l’umanità verso la sua piena unità.

Molto ci sarebbe da dire, concentro la mia attenzione su due aspetti: il sostegno alle Chiese che soffrono, i martiri non come “eroi lontani” ma come un modello di vita per un cristianesimo troppo spesso spento.

Papa Francesco più volte (l’ultima nel videomessaggio per le intenzioni di preghiera nel mese di Marzo), ha ribadito l’appello “ad aiutare i cristiani perseguitati” le tante persone “perseguitate a motivo della loro fede, costrette ad abbandonare le loro case, i loro luoghi di culto, le loro terre, i loro affetti”. “Vengono perseguitate e uccise perché cristiani, senza fare distinzione, da parte dei persecutori, tra le confessioni a cui appartengono”.

Quindi, fa una domanda: “Quanti di voi pregano per i cristiani che sono perseguitati?”. E incoraggia a farlo con lui, “perché sperimentino il sostegno di tutte le Chiese e comunità nella preghiera e attraverso l'aiuto materiale”.

Come credenti, non possiamo ignorare queste parole del Santo Padre. Dalla Siria all’Iraq, ma anche in tanti contesti di povertà e/o criminalità, penso ad esempio alle Maras in Sudamerica ed al Messico, troppi cristiani vivono nella persecuzione, nel disagio materiale e spirituale. Il Papa, e la veglia di preghiera, ci ricordano il dovere di far sentire la nostra vicinanza, nella preghiera ma anche economica, alle chiese che soffrono nel mondo.

In conclusione. Il Martire è un eroe? Probabilmente lo è. Ma allo stesso tempo i martiri spesso non hanno fatto altro – e non è affatto poco! – che vivere mettendo in pratica il Vangelo accendendo con la loro vita dei “tizzoni di speranza” in contesti difficili e disagiati. Cosa intendo dire? Nessuno ci chiama o ci esorta al martirio, non è questa a mio parere l’indicazione della Chiesa. Siamo tutti chiamati però, con la nostra opera misericordiosa, a portare la luce dove ci sono le tenebre. Ogni cristiano, pur non essendo “martire”, può, come i martiri, portare la presenza viva di Cristo nei luoghi di dolore del mondo. Visitare i carcerati, vestire gli ignudi, soccorrere i migranti che scappano dalla guerra, portare nel mondo la Luce della Speranza Cristiana.

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