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I seminaristi del Nord Italia tra calo numerico e attenzione pastorale

Redazione online
Pubblicato il 30-11--0001

Sono 883 seminaristi, il 36 per cento del dato nazionale

Emilia Romagna, Piemonte, Liguria, Lombardia e Triveneto sono le cinque Regioni ecclesiastiche del Nord Italia che complessivamente annoverano 883 seminaristi, ovvero il 36 per cento del dato nazionale.




Emilia Romagna: difficoltà a trovare educatori. Preti popolari che sappiano entrare in dialogo con chi la pensa diversamente, capaci di accoglienza interculturale e di corresponsabilità con i laici. Al Pontificio Seminario Regionale “Benedetto XV” di Bologna si formano i nuovi sacerdoti dell’Emilia Romagna (130 seminaristi nel 2014). Monsignor Stefano Scanabissi è il rettore di una comunità di 32 alunni: “Desideriamo che i futuri presbiteri sappiano intercettare lo spirito religioso profondo presente nel cuore della nostra gente, vincano o attenuino le rigidezze, abbiano cura della vita interiore e siano in grado di adattarsi a situazioni diverse in previsione di un ministero plurimo e non adeguatamente tutelato”. La vita di seminario, tuttavia, presenta anche qualche ostacolo: “È possibile che si crei una certa tensione tra gli educatori che conoscono la persona concreta e suggeriscono soluzioni formative a suo vantaggio e per difenderla dal burn out, purtroppo non solo ipotetico, e i responsabili della diocesi che sono afflitti da problemi pastorali urgenti da risolvere”. Inoltre, “se ci fosse la certezza che i percorsi di formazione permanente sono ben organizzati e la collocazione pastorale nei primi anni di ministero ha come criterio di scelta del luogo il bene formativo del giovane presbitero, il percorso seminaristico potrebbe o dovrebbe essere utilmente alleggerito, nella consapevolezza crescente che la vera formazione comincia in verità dopo l’ordinazione e sul campo”.



L’età media dei seminaristi è di 29 anni, circa metà sono giovani-adulti laureati, qualcuno con attività lavorative interrotte, alcuni con una vocazione cercata, altri con una vocazione giovanile dopo i percorsi diocesani. Dal 2006, quando ad abitare il Seminario erano 52 studenti, i vescovi del Regionale hanno stabilito che l’età di 35 anni fosse il termine massimo per poter iniziare il percorso propedeutico: “Rispetto al passato l’età media si è alzata progressivamente. Abbiamo seminaristi già impostati o portatori di ferite (il 10 per cento sono figli di separati), con una idea di prete e di Chiesa da integrare, ampliare, correggere, sostituire con quella emersa dal Concilio e dal magistero recente”. Emerge, soprattutto, un primato dell’emotività sulla ragione, della dimensione carismatica e attraente delle proposte sulla teologia, dell’auto centramento individualistico sulla comunione. Per il rettore, dunque, “si tratta di realizzare un maggior lavoro circa la formazione umana, spirituale, teologica-culturale, ecclesiale”.

A tal fine, però, si avverte “la necessità di educatori preparati, mentre registriamo una penuria di preti giovani con qualche anno di ministero già attuato, idonei, disponibili, e facilmente sostituibili in diocesi per poter accogliere il ministero di educatore in seminario. Si assiste, invece, al fenomeno diffuso di investimenti che i vescovi realizzano con giovani preti dotati per avviarli allo studio di Diritto canonico, Morale, Teologia, Scrittura ma raramente dell’ambito educativo”.



L’orizzonte è quello dell’educazione alla collegialità nella pastorale e nell’evangelizzazione: “I seminari regionali in Italia svolgono un compito e un’impresa di collegialità tra diocesi circa da un centinaio di anni, non sempre facile da realizzare, per la incredibile presenza di spinte autonomiste, quando oggi si sta addirittura parlando di accorpamento di diocesi”.




Piemonte: no al “prete da altare”. Una collaborazione con le realtà più impegnate sul versante della carità, come il Sermig o il Cottolengo, per far respirare ai giovani preti l’aria della Chiesa di periferia. È la proposta formativa del Seminario Interdiocesano Valmadonna di Alessandria, che accoglie il 10 per cento dei 170 studenti presenti in Piemonte. Il rettore, don Carlo Rampone, racconta: “Molti ragazzi faticano a stabilire relazioni con le persone. Talvolta sono avulsi da certi contesti: arrivare dalla parrocchia o dall’oratorio, è meno diffuso rispetto ad alcuni anni fa. Spesso provengono da ambienti in cui non hanno sperimentato una vita ecclesiale dignitosa, e quindi manifestano alcune immaturità e chiusure”.




Più che di un “prete da altare”, spiega don Rampone, abbiamo bisogno di un “prete tra le persone” che sia simile al “medico generico”:

“Deve saper stare con il bambino, ma anche con l’anziano e con la famiglia”. E poi l’esigenza di sapersi adattare alla carenza di clero, “una scarsità numerica che implica la ridistribuzione dei sacerdoti, ad esempio, con responsabilità su più parrocchie o accorpamenti di uffici diocesani”.

Seminario Interdiocesano Valmadonna di Alessandria “Noi educhiamo già a una formazione permanente – prosegue -, però a livello interdiocesano noto una certa fatica. Prevale ancora l’impostazione diocesana, anche se la previsione è di andare sempre più verso una formazione in sinergia. La Conferenza regionale sta riflettendo su questo aspetto”. In nove anni, il Seminario ha visto passare il numero degli alunni da 28 a 17: “A fronte di una preoccupazione, c’è anche una tentazione umana ad allentare i criteri per l’entrata. Noi affidiamo all’azione del vescovo diocesano e del referente, che è la figura che fa da ponte tra il seminario e la diocesi, una valutazione previa. Da due anni a questa parte, il Propedeutico è senz’altro un valore aggiunto. Entrando in prima Teologia, infatti, si rischiava di sprecare un anno soltanto nella conoscenza del candidato. Con il Propedeutico, invece, una buona percentuale di fatica a livello valutativo è stata risolta. Siamo abbastanza riparati dalle maglie larghe nell’accesso, ma l’apprensione per i numeri è sempre presente. Chiaramente quando un vescovo è a fine mandato, non vorrebbe lasciare un seminario vuoto. D’altra parte, i vescovi giovani tendono ad alzare l’asticella e non sono disposti a scendere a compromessi”.



Liguria: servizio pastorale. Formare parroci. A questo obiettivo mira il lavoro svolto nel Seminario Arcivescovile di Genova: “È fondamentale la testimonianza personale di fede, direi che si tratta dell’aspetto decisivo con il quale ci troviamo a fare i conti oggi. Il prete genovese – spiega il rettore, monsignor Michele Cavallero – si caratterizza per il servizio pastorale. Il nostro territorio è variegato: si va dalle zone operaie o ex-operaie purtroppo, dove troviamo le parrocchie più vivaci, ai quartieri residenziali del centro. Normalmente tutti i preti della diocesi hanno una parrocchia, anche chi insegna in seminario. Tutti sono parroci. È questo il tratto predominante. Chi va a studiare fuori, è un’eccezione”. Indispensabile è “la capacità di reggere e di stare nelle relazioni con le persone, che hanno bisogno di essere accolte e ascoltate”. Essere “ospedale da campo”, ribadisce mons. Cavallero, “non è un’espressione campata in aria”. Per avviare gli studenti alla formazione permanente, bisogna comprendere che è necessario “lasciarsi educare dalla vita e assumere una disposizione che ci permetta di ascoltare il Signore attraverso le esperienze dell’esistenza”.


Il Seminario di Genova accoglie 11 studenti dei 50 presenti in Liguria. Dagli anni ‘90 del secolo scorso non è più attivo il Seminario minore diocesano: “Da allora abbiamo avviato i gruppi di accompagnamento vocazionale, che operano con dedizione e che cerchiamo di curare attentamente”. Tra le iniziative quella promossa da monsignor Nicolò Anselmi, vescovo ausiliare e parroco nel centro storico, che cura con “grande coraggio” una piccola comunità vocazionale per le medie inferiori presso la parrocchia di Santa Maria delle Vigne. Qui vivono, dal lunedì al venerdì, tre ragazzi: due dallo Sri Lanka e uno dall’India. Ci sono, poi, due gruppi per gli studenti delle scuole superiori. In Seminario, afferma il rettore, “fortunatamente abbiamo un bel gruppo di ragazzi che ce la mettono tutta”: “Il nostro desiderio è che in questi anni possano mettere a fuoco i loro doni e i loro aspetti più fragili.



È importante che qui emerga appieno la personalità affinché, una volta usciti, possano impostare una vita di ministero senza sorprese negative”.

I primi tre anni sono quelli decisivi: “Quando un giovane si presenta in Seminario, gli proponiamo un percorso previo di accompagnamento spirituale e di incontri con il rettore. Si inizia così una conoscenza reciproca. Poi è previsto un anno Propedeutico già in Seminario, perché non abbiamo le forze per organizzare comunità separate come sarebbe opportuno. Alla fine del secondo anno di Teologia, l’ammissione agli Ordini sacri equivale a una dichiarazione di idoneità da parte della Chiesa. È il momento decisivo, prima dell’ordinazione finale”. Le fatiche nel ricambio del clero non possono essere un alibi nel discernimento: “La tentazione c’è ma guai a noi se cediamo, perché poi si paga amaramente”.



Lombardia: il bene dei seminaristi e della Chiesa. È un complesso imponente quello che sorge a Venegono Inferiore, sede del Seminario Arcivescovile di Milano. Tra tutti gli edifici spicca la torre alta 64 metri che per quasi mezzo secolo ha ospitato l’Osservatorio di fisica terrestre. La struttura, inoltre, accoglie una biblioteca con un patrimonio librario di oltre 140mila volumi e un Museo di Storia naturale dalle cui vetrine è possibile ammirare collezioni di fossili, rocce, minerali e animali. “Il nostro progetto educativo è orientato alla formazione dell’uomo credente. Questa è l’impronta che deve rimanere tutta la vita: il prete è anzitutto un cristiano che crede, spera e ama”. Per il rettore, monsignor Michele Di Tolve, il sacerdote che esce dal Seminario è “un credente che diventa pastore del gregge secondo la spiritualità ambrosiana, ovvero in mezzo alla gente”: “È forte il legame al presbiterio e a tutto il popolo di Dio, sintetizzato nel rapporto con il vescovo. Come credente si lascia interrogare e provocare dal contesto culturale in cui è inserito. Non dà per scontata la fede che vive, e quindi non la dà per scontata nemmeno ai fratelli. Tutto ciò è indispensabile per passare da un cristianesimo di convenzione a un cristianesimo di convinzione”.


Un’attenzione particolare è rivolta all’educazione dei fanciulli e dei giovani, negli oratori e nell’associazionismo, perché i nuovi sacerdoti devono essere capaci di “servire la pluriformità delle espressioni cristiane”. Milano è tipica anche per la forte immigrazione, che comporta “un lavoro di integrazione e confronto con culture e religioni diverse”.



Sono 146 gli studenti nel Seminario, a fronte dei 312 della Lombardia. Circa quaranta si trovano nella fase precedente l’entrata, che procede ad anni alterni quanto a numero di nuovi seminaristi. Tanti giovani arrivano dopo la maturità, a seguito di un percorso vocazionale. Il primo è il gruppo “Samuele”, fondato venticinque anni fa dal cardinale Martini: “Offre un lavoro di ricapitolazione dell’esistenza che porta il giovane a capire quale sia il cuore pulsante della sua vita”. Il cardinale Scola, sottolinea il rettore, “crede tantissimo nell’educare i giovani a comprendere che la vita è per se stessa vocazione, e nulla deve essere disperso delle energie che si impiegano per crescere”. È attiva anche la Comunità vocazionale residenziale Sant’Andrea che consiste in un’esperienza di vita comunitaria di quasi due settimane, all’interno del Seminario, rivolta a giovani maggiorenni che desiderano verificare l’intuizione del sacerdozio come scelta di vita: “Ci preoccupiamo che abbiano coscienza di quello che chiedono. L’ingresso non è dire ‘proviamo’, ma è già un atto importante che suppone basi solide. Altrimenti è meglio aspettare. Due criteri ci guidano: il bene dei seminaristi e il bene della Chiesa”. L’accoglienza, precisa mons. Di Tolve, non è soltanto dei ragazzi ma anche della condizione familiare di partenza:

“Una buona percentuale di seminaristi proviene da famiglie che vivono una grande fatica per separazioni o incomprensioni nella scelta vocazionale del figlio. Dobbiamo anche recuperare con i ragazzi e con le famiglie alcuni nodi educativi che sono stati trascurati. È importante partire dalle radici.



Il punto di inizio è da dove vengono i seminaristi: la cura delle radici familiari, culturali, educative e scolastiche. Non si arriva in seminario dal nulla, per questo è essenziale un lavoro personalizzato”. Quindi, si aiutano gli alunni “a superare la frattura tra la fede e la vita, perché gli ideali di fede devono trovare concretezza nella pratica quotidiana”. Infine un richiamo alla formazione permanente che prevede, tra gli altri, un cammino dall’ordinazione e per i primi dieci anni di messa che si compie nell’Istituto sacerdotale Maria Immacolata di Seveso. Per tutti i sacerdoti, la formazione permanente si attua nella prospettiva della “riforma del clero” che non è tanto formazione di conoscenze quanto di esperienze.




Triveneto: sfide per le diocesi. “La figura classica del parroco con la sua parrocchia è superata dai fatti ed è subentrata quella di prete che, dentro un presbiterio e in comunione con altri sacerdoti e figure ministeriali, coordina, anima e presiede una realtà più ampia e complessa”. Ne è convinto don Giampaolo Dianin, rettore del Seminario Maggiore Vescovile di Padova. Le Chiese del Triveneto, che complessivamente contano 284 seminaristi, mostrano una “forte vivacità pastorale”, anche se “negli ultimi decenni le fatiche si sono fatte sentire”: “Ci sono, inoltre, differenze tra diocesi grandi e molto strutturate e altre più piccole che da molto tempo hanno già dovuto fare i conti con un vistoso calo di vocazioni”. I nuovi scenari pastorali, dunque, esigono soprattutto che il prete “sia capace di collaborare, di lavorare in rete con altri preti e con i laici”. Al bambino che accede al seminario minore, osserva don Dianin, si è sostituito “il giovane che dentro una vita parrocchiale ricca e provocante entra in un cammino di ricerca vocazionale per approdare prima alle comunità propedeutiche e poi al seminario maggiore”. A Padova sono pochi gli adulti quarantenni, mentre i ragazzi “hanno bisogno di lunghi percorsi di formazione non solo per verificare la chiamata ma anche per dare loro la ‘forma’ del pastore”. “Sono figli di questo nostro tempo – sottolinea il rettore – con le sue ricchezze e le sue fatiche, prima fra tutte quella di uscire da se stessi per donarsi e impegnarsi superando la logica, troppo limitata, della realizzazione personale”.



Dopo anni fiorenti, il Seminario sta ora attraversando un periodo non facile: nel 2000 erano 48 i seminaristi, a cui si aggiungevano 8 stranieri e 4 frequentatori delle comunità vocazionali. Oggi gli studenti sono 29 e 2 i ragazzi in attesa di entrare:

“Alcuni seminari del Triveneto hanno numeri così esigui che ci si interroga se si possa parlare di una comunità formativa. Altri, come quello di Padova, stanno sperimentando oggi un calo numerico significativo che sta interpellando l’intera diocesi.



E poi ci sono le sfide formative, cammini sempre più personalizzati, la consapevolezza che sei anni sono pochi e che l’allungamento di molte dinamiche adolescenziali chiede molto più tempo e pazienza. Le sfide della pastorale, inoltre, inquietano i candidati al presbiterato. Il timore è quello di trovarsi a essere gestori di tante strutture e parrocchie, di vivere sempre di corsa per mille incombenze senza riuscire ad annunciare il Vangelo e a essere compagni di viaggio nella ricerca di Dio”. Nonostante i numeri, però, “cerchiamo di essere esigenti e di non lasciarci condizionare” impostando un “lavoro puntuale in preparazione alla domanda di ammissione e al diaconato”. Previsti anche tirocini pastorali, accompagnamento psicologico, periodi di stage esterni. (Riccardo Benotti - Agensir)

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