'Ha offerto le sue sofferenze a Dio', la santità di frate Hechich
Aperta la causa di beatificazione del francescano morto in 'odore di santità'
«I suoi impedimenti fisici sono stati l'occasione per parlare con Dio». E' iniziato con queste parole di monsignor Claudio Cipolla, vescovo di Padova, il processo diocesano della causa di beatificazione e canonizzazione del Servo di Dio padre Daniele Hechich, conosciuto come “padre Daniele”.
La cerimonia per il frate minore, morto nel 2009 in "odore di santità", si è svolta in chiesa a Saccolongo (Padova), dove c'è il convento in cui è spirato serenamente nel 2009.
LE SOFFERENZE DI PADRE DANIELE E GESU'
La cerimonia è stata presieduta da monsignor Cipolla. «Di Padre Daniele - ha detto il vescovo di Padova, come riporta Il Gazzettino - il Signore ha saputo valorizzare anche il dolore e la sofferenza e anche quando la malattia può mettere in dubbio la misericordia, il Signore sa coglierla e la sa portare nel suo disegno di amore. Anche la morte di Gesù ci ha manifestato l’amore di Dio, e di padre Daniele colgo questa capacità di portare dentro alla misericordia di Dio la sua sofferenza».
«I suoi impedimenti fisici sono stati occasione di parlare di Dio – ha continuato Cipolla -, quasi segno tangibile di Dio che si occupa anche di ciò che è nella sofferenza fisica, psichica e morale, portate a lui perché venissero ricondotte nella misericordia di Dio».
LA SCLEROSI MULTIPLA
La vita di Padre Daniele è stata, infatti, segnata dalla convivenza con la sclerosi multipla. Dopo essere stato ordinato sacerdote, nel 1952, prestò servizio prima a Verona, poi a Trieste e infine a Treviso: nella città veneta cominciarono i primi sintomi della malattia che, di lì in poi, condizionarono l'intera sua esistenza. Nel giro di pochi anni lo costrinse all'uso costante della sedia a rotelle. A causa dell'aggravarsi della malattia, padre Daniele venne dapprima trasferito a Monselice e quindi a Cittadella (PD), ove svolse il ruolo di Confessore e di Guida Spirituale della comunità.
UNA PORTA SEMPRE APERTA A TUTTI
Nonostante i grandi dolori che la malattia gli procurava, padre Daniele ne sopportava il peso senza lamentarsi, accogliendo quanti si recavano da lui con gioia e amore. Con l'aggravarsi delle sue condizioni di salute fu trasferito nel 1981 a Saccolongo (PD), presso Casa Sacro Cuore, infermeria provinciale dei Frati Minori Francescani, dove rimase fino al giorno della sua salita al Cielo. Anche in tale sede, finché le condizioni di salute glielo permisero, continuò a confessare e dare consigli alle migliaia di persone che arrivavano da tutto il mondo.
L'AGGRAVARSI DELLA MALATTIA
Progressivamente la malattia gli aveva tolto l'uso delle gambe, delle braccia, delle mani e la possibilità di nutrirsi per via orale. Infine padre Daniele perse pure l'uso della voce e necessitava di continua assistenza da parte dei confratelli frati e di alcuni devoti accompagnatori, i quali a turno, di giorno e anche di notte, lo hanno assistito per molti anni fino al momento della sua morte.
LA PREGHIERA, NONOSTANTE TUTTO
Nonostante queste sue limitazioni nel fisico, migliaia di persone hanno sempre continuato a frequentarlo, e il solo potergli stare vicino qualche minuto, durante i ricevimenti comunitari o personali in cui veniva accompagnato, il pregare con lui e per lui, dava loro grande sostegno nelle situazioni anche più difficili, di qualsivoglia natura si trattasse.
LA MORTE SERENA
Morì nella sua stanza presso Casa S. Cuore la notte del 26 settembre 2009, alle ore 23:05, mantenendo lucidità mentale e uso della vista e dell'udito fino a pochi minuti prima di spirare serenamente, come si è appreso nel 2018 dalla testimonianza di quanti erano presenti al momento del decesso.
"ANDATE A LOURDES"
Padre Claudio Bratti, postulatore della causa, ha ricordato che «quando padre Daniele ha saputo della sua malattia gli è stato chiesto se voleva che si pregasse per lui, o di andare a Lourdes per chiedere la sua guarigione - ha detto padre Bratti -, ma lui ha risposto di “no”, perché quella era la volontà di Dio».
LA CONVERSIONE DEI PECCATORI
«Ha voluto offrire tutta la sua sofferenza per il bene della chiesa -ha proseguito il vicepostulatore - la conversione dei peccatori, e per la santificazione del clero. E così ha voluto: ha consumato coscientemente tutta la sua vita per queste tre motivazioni. E solo alla luce della fede riusciamo a capire che quella vita di sofferenza, per trent’anni inchiodato sul letto, vale. In questi ultimi 50 anni abbiamo diverse figure canonizzate o beatificate con lo stesso problema, è lo Spirito Santo che ci dà un messaggio».
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