Francesco d’Assisi, il mercante che volle far testamento Disporre dei beni in prossimità della morte
Figlio di Pietro di Bernardone, ossia di un mercante, che sapeva leggere, scrivere e far di conto: questa è il livello stratigrafico originario – e quindi più radicato – della cultura di Francesco d’Assisi.
E tale aspetto, una sorta di mores patrum, traspare continuamente nei suoi scritti; infatti termini valutari e commerciali – quali ad esempio bene, sommo bene, ricevere, donare, restituire – sono ben presenti nei suoi scritti tanto da farne l’ossatura del suo pensiero ed esperienza spirituale. Ora la pubblicazione del volume di Eleonora Rava, «Volens in testamento vivere». Testamenti a Pisa, (Roma 2016) aiuta a mettere in evidenza un ulteriore aspetto del mercante e quindi anche dell’Assiate, ossia l’importanza del testamentare; così anche dopo aver scelto di «vivere secondo la forma del santo Vangelo» frate Francesco in prossimità della morte scrive il proprio Testamento. Ma tale origine mercantile traspare anche da esempi che porta come quello alla fine della Lettera a tutti i fedeli in cui narra di un moribondo nell’atto di cedere i suoi beni.
Il corpo è infermo, si avvicina la morte, accorrono i parenti e gli amici e dicono: «Disponi delle tue cose». Ecco, sua moglie e i suoi figli e i parenti e gli amici fingono di piangere. Ed egli, sollevando gli occhi, li vede piangere e, mosso da un cattivo sentimento, pensando tra sé, dice: «Ecco, la mia anima e il mio corpo e tutte le mie cose pongo nelle vostre mani». In verità questo uomo è maledetto, poiché´ colloca la sua fiducia e consegna la sua anima, il suo corpo e tutti i suoi averi in tali mani. Perciò dice il Signore per bocca del profeta: «Maledetto l’uomo che confida nell’uomo».
E subito fanno venire il sacerdote. Gli domanda il sacerdote: «Vuoi ricevere la penitenza per tutti i tuoi peccati?». 78 Risponde: «Sì». «Vuoi, per tutte le colpe commesse e per quelle cose nelle quali hai defraudato e ingannato gli uomini, dare soddisfazione cosı` come puoi, attingendo alla tua sostanza?». Risponde: «No». E il sacerdote: «Perché no?». «Perché ho consegnato ogni mio avere nelle mani dei parenti e degli amici». E incomincia a perdere la parola e così quel misero muore.
Ma sappiano tutti che, ovunque e in qualsiasi modo un uomo muoia in peccato mortale senza dare soddisfazione, e può farlo e non lo fa, il diavolo rapisce la sua anima dal suo corpo con un’angoscia e sofferenza cosı` grande, che nessuno può conoscerla se non colui che la subisce. E tutti i talenti e l’autorità e la scienza che credeva di possedere, gli sono portati via. Ed egli lascia il patrimonio ai parenti e agli amici, ed essi lo prendono e se lo dividono e poi dicono: «Maledetta sia la sua anima, poiché´ poteva darci e procurarci di più di quanto non abbia procurato!». Il corpo lo mangiano i vermi; e cosı` quell’uomo perde il corpo e l’anima in questa breve vita e va all’inferno, dove sarà tormentato senza fine. (p. Pietro Messa OFM)
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