fede

Don Tonino Bello, i Santi non sono da collezione ma da vivere

Luce e Vita Avvenire
Pubblicato il 20-04-2020

Conservare, rispettare e far rispettare il pensiero di quell’uomo

Quanti si sono profusi per illustrare, illuminare ed esaltare la figura di Mons. Bello sono ora disposti a mettersi in gioco perché il progetto disegnato da quell’uomo abbia a trovare la sua realizzazione e non venga seppellito con la sua morte?

Oltre che celebrare la figura di quell’uomo c’è qualcuno che ne fa rivivere l’esperienza? Davvero le parole pronunciate da quell’uomo sono state ascoltate, accolte e coltivate e non, piuttosto, prese e sfruttate a proprio vantaggio e tradotte a proprio piacimento? Chi, al di là dei ricordini che riportano la sua foto o alcune sue frasi, è disposto a far sì che quelle parole non vengano alterate e il suo messaggio non venga distorto?

Checché alcuni possano pensare, don Tonino non è stato uno scrittore. E' vero che di lui ci sono molti scritti (e purtroppo non tutti fedeli e rispettosi delle sue parole), ma quegli scritti sono trascrizioni di omelie e di discorsi. Ed anche gli scritti originali sono per lo più catechesi. Gli scritti di quel vescovo erano strumenti e luoghi di incontro con gente reale e motivati da situazioni concrete, e non formulazioni accademiche. Le sue parole erano una particolare forma di annuncio legato ad un tempo e ad un contesto ben preciso.

I nomi presenti nei suoi scritti fanno riferimento a volti ben definiti ed a vicende umane, per lo più di poveri, dinanzi alle quali quegli non ha chiuso né occhi e né orecchie e tanto meno il cuore. Ebbene, chi, ancora oggi, prosegue nell’operazione di pubblicare i suoi scritti – non sempre rispettando i fini e lo stile dell’autore, e il più delle volte non citando né fonti né contesto – si pone la domanda circa la fedeltà agli stessi? I suoi scritti vengono verificati o solo usati? Il patrimonio “dottrinale e sapienziale” lasciato da quel vescovo, amato solo dopo la morte, viene inteso ed utilizzato per favorire la conoscenza di lui e l’approfondimento del suo messaggio o trova il suo scopo nell’accrescere i vantaggi di chi li utilizza? E a quale titolo vengono utilizzati?

Ma, in verità, c’è qualcuno che ritiene di dover conservare, rispettare e far rispettare, il pensiero di quell’uomo, tutelandone così anche l’immagine e, magari, nel rispetto della verità?

La presenza del vescovo di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi nella sua Diocesi è stata vissuta non come astratta esemplarità, ma come guida per un cammino da percorrere stando in mezzo al suo popolo e facendosi egli stesso parte di quel popolo, assorbendone l’odore e i bisogni. Se non si parte da queste scelte di fondo, fatte proprie dal Vescovo Bello, si rischia di offrire di don Tonino una immagine non solo incompleta, ma anche incomprensibile. Egli andava all’essenza delle cose per partire da lì. L’apparenza non lo preoccupava. La tutela dell’immagine di sé non rientrava tra i suoi interessi.

E oggi, il suo popolo, o chi si dichiara parte di esso, quali progetti insegue? Quali annunci propone? Quali metodi utilizza nelle relazioni? Quali denunce ha il coraggio di formulare quando vede che ad un uomo non viene riconosciuta la sua dignità? I piedi di quel popolo quali strade percorrono e verso quali mete sono orientati? Insomma l’interesse è rivolto a tutelare il contenitore o a dare vita al contenuto?

Si intende davvero “tràdere” qualcosa o, per eccesso di buonismo, per non creare problemi e ottenere il consenso di chi al confronto preferisce il conforto, si rischia di “tradire” qualcuno? Ma, poi, diciamoci la verità: davvero si avverte il bisogno di un santo da imitare, o è sufficiente avere un santino da collezionare? (don Ignazio Pansini Rettore Chiesa del Purgatorio – Molfetta)

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