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DON BOSCO IL SANTO DEI GIOVANI

Padre Egidio Canil
Pubblicato il 30-11--0001

Il 31 gennaio si celebra San Giovanni Bosco, inventore di spazi di incontro, per togliere i ragazzi dalla strada, e di formazione e isctruzione per i poveri

Il prossimo Sinodo dei Vescovi dedicato ai Giovani

Nel prossimo anno, nel mese di ottobre 2018, la Chiesa Cattolica vedrà adunata per la quindicesima volta l’Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi. Il tema scelto per questo nuovo Sinodo riguarda i giovani. Assai significativo è che, già nella fase preparatoria, la Chiesa, il Papa e i Vescovi si siano proposti di “mettersi in ascolto dei giovani” prima di “parlare dei giovani”. Lo ha ribadito di recente Papa Francesco in una lettera diretta a loro in cui viene detto: “Carissimi giovani, ho voluto che foste voi al centro dell’attenzione perché vi porto nel cuore… - e ha proseguito – La Chiesa desidera mettersi in ascolto della vostra voce, della vostra sensibilità, della vostra fede; perfino dei vostri dubbi e delle vostre critiche. Fate sentire il vostro grido, lasciatelo risuonare nelle comunità e fatelo giungere ai Pastori…” (Lettera ai giovani - 13 gennaio 2017).

Ma non si può parlare dei giovani senza pensare ad un Santo, Giovanni Bosco, la cui festa ricorre il 31 gennaio. Santo dei giovani che si è dato tutto ai giovani. Ma chi è davvero San Giovanni Bosco?



Una essenziale biografia

Giovanni Bosco nacque il 16 agosto 1815 a Castelnuovo d'Asti, oggi denominata Castelnuovo Don Bosco, a metà strada tra la città di Asti e il capoluogo piemontese, Torino. Nacque in una famiglia contadina poverissima. Rimasto orfano di padre a soli due anni, fin da piccolo matura la vocazione sacerdotale che consegue con grande impegno e perseveranza. Nel 1841, giovane prete, arriva a Torino, dove viene a conoscenza della drammatica situazione in cui si trovano i ragazzi e i giovani. Ne rimane sconvolto. Ragazzi che vagabondano per le strade, giovani disoccupati, sbandati, sfruttati da datori di lavoro che ne approfittano. Tanti di loro diventano poi vittime della malavita e avviati sulla via delle patrie galere.

Capisce che non può rimanere indifferente a tutto ciò e decide di agire per cercare di sanare, come può, la difficile situazione. Aiuta dunque i ragazzi a cercare lavoro, si prodiga per ottenere condizioni migliori a chi è già occupato, ricerca luoghi di alloggio dignitosi per chi è senza casa, inventa spazi di incontro per togliere i ragazzi dalla strada, organizza luoghi di formazione e di scuola vera e propria per i più poveri. Nell'aprile 1846 apre a Valdocco, un quartiere popolare di Torino, nella "casa Pinardi", il primo “Oratorio”. Alla Marchesa Giulietta Colbert di Barolo che lo sconsigliava di perdere tempo nel dedicarsi a quelle bande di ragazzi di strada e a quei giovani sbandati, rispose: Cara Marchesa, il progetto che mi sento spinto di realizzare e che vedo già realizzato è dare una casa, con attorno campi di gioco, con una chiesa vicina, e con accanto laboratori, officine, scuole per i giovani. Tutto questo non solo qui a Torino ma in tutto il mondo, per tutti i ragazzi del mondo, soprattutto quelli più dimenticati, abbandonati, vittime innocenti delle guerre, dell’odio, dell’indifferenza…!A queste parole la Marchesa replicò: E dove sono tutte queste cose? Don Bosco rispose: Non lo so, io non lo so, ma le vedo!



Il problema di accogliere non per alcune ore bensì a tempo pieno questi ragazzi senza casa diventa fondamentale per don Bosco, ma deve affrontare il problema economico e finanziario. Don Bosco diventa promotore in prima persona della sua iniziativa e si mette alla ricerca di fondi. La prima benefattrice è la madre Margherita che vende tutto quello che possiede per sfamare i ragazzi. Ogni giorno il numero dei ragazzi accolti cresce. Don Bosco vi si dona fino in fondo.

Tra i giovani accolti da don Bosco, qualcuno gli chiede di "diventare come lui". Così nacque, con la cooperazione di alcuni di loro, in particolare con don Rua e don Cagliero, la "Società diSan Francesco di Sales" denominata in seguito Congregazione dei Salesiani. Un Congregazione che già nel XIX secolo si espande dapprima in America del Sud e successivamente in tutti i continenti.

Don Bosco diventa col tempo, negli anni in cui il Governo sopprime gli Ordini religiosi, una figura di rilievo nazionale e uomo di straordinaria intelligenza, tanto da essere spesso consultato daPapa Pio IX, pur rimanendo sempre una persona umile e semplice. Nel 1872, instancabile, fonda la Congregazione femminile delle “Figlie di Maria Ausiliatrice”, dette Suore Salesiane, impegnate sul campo dell’educazione della gioventù femminile.

Si spense a Torino il 31 gennaio 1888, all’età di 72 anni, circondato dal cordoglio di tutti quelli che lo avevano seguito e soprattutto di coloro che aveva accolto e accompagnato, lasciando dietro di sé una scia luminosa di centri di formazione, di opere caritative e di realizzazioni sociali.

Venne dichiarato Beato nel 1929 e Santo il 1 aprile del 1934. Il 31 gennaio 1958Pio XII, su proposta del Ministro del Lavoro in Italia, lo ha dichiarato "patrono degli apprendisti italiani".



Un originale metodo educativo

Nel XIX secolo la gioventù era tragicamente abbandonata a se stessa; non vi erano luoghi di aggregazione, le scuole erano riservate ai figli delle famiglie ricche, la maggioranza non aveva accesso all’istruzione ed era avviata precocemente all’attività lavorativa e sistematicamente sfruttata. E Giovanni Bosco ha preso a cuore questo grave problema, creando scuole e opportunità per migliaia di giovani poveri.

Originale il suo metodo educativo, da lui stesso denominato “sistema preventivo” in contrapposizione a quello “repressivo-punitivo”. Il suo era decisamente originale, un metodo centrato sul ragazzo, sulle caratteristiche della sua età, operando mediante l’“assistenza” assidua e amorevole di educatore, che si fa vicino, presente, che consiglia, che guida e sostiene. In contrapposizione al metodo repressivo, allora molto diffuso, che puntava sul traguardo da raggiungere e perciò tendeva a considerare il giovane come un adulto del futuro, da trattare come tale fin dai suoi giovani anni di vita. Era quello che avveniva nelle poche scuole esistenti, rigidamente impostate su doveri, obblighi e provvedimenti fortemente coercitivi; erano così i collegi ottocenteschi impostati sullo stile militare o rigidamente disciplinare. In realtà i due sistemi coesistevano ma spesso prevaleva, con piena legittimità teorica e pratica, la cosiddetta “educazione correzionale”, ben nota nel mondo penale e rieducativo.


Don Bosco non ha creato un modello educativo teorico astratto ma si è posto accanto ai giovani, nel pieno rispetto della loro età, per sostenerli nel loro processo di crescita. Sono essi stessi che, nelle loro memorie, raccontano come si sentivano a loro agio accanto a lui: si sentivano accolti, amati, rispettati e aiutati: “Con grande piacere si viveva nell’Oratorio. Qui respiravasi un’aria di famiglia che rallegrava. Don Bosco concedeva ai giovani tutta quella libertà che non era pericolosa per la disciplina e la morale. […] Piacevagli andare alla buona, sicché tutto sapesse di famiglia. E tutti gli antichi allievi ricordavano con indicibile tenerezza quei tempi…”.

Don Bosco tuttavia ci ha lasciato anche dei testi che, frutto dell’esperienza, hanno raccolto e illustrato il suo metodo educativo. Si tratta in particolare di tre testi: Il Sistema preventivo nell’educazione della gioventù (1877); Ricordi confidenziali (stesi dal 1871 al 1886); Lettera scritta da Roma il 10 maggio del 1884. In essi viene rappresentato in primo luogo il suo ruolo di educatore, la sua mission, che garantiva coerenza e organicità nel promuovere la crescita dei ragazzi come “buoni cristiani e onesti cittadini”. Partiva da una visione integrale dell’uomo e del suo sviluppo pieno in chiave cristiana. Egli affermava: “Questo sistema si appoggia tutto sopra la ragione, la religione, l’amorevolezza”.

Secondo tale metodo l’uso della ragione, cioè il “ragionar coi giovani”, la persuasione, il far conoscere preventivamente le regole dovevano aver la meglio sull’imposizione, sulla coercizione, sull’obbedienza cieca, sulla repressione. Intrecciata con l’uso della ragione avveniva poi la valorizzazione dell’amorevolezza. L’educatore deve dimostrare al giovane che lo sta amando: “Che i giovani – diceva don Bosco - non solo siano amati ma che si accorgano di essere amati”. Tutto perciò era fondato su un atteggiamento positivo e su una completa dedizione ai giovani. La triade: ragione, religione e amorevolezza si fondava su una visione cristiana della vita che veniva sempre in evidenza in tutte le scelte e decisioni che il Santo operava. Ha lasciato scritto: “La pratica di questo sistema è tutta poggiata sopra le parole di San Paolo che dice: la carità è benigna e paziente; tutto soffre, ma spera tutto e sostiene qualunque disturbo…”.

Intere generazioni di ragazzi e di giovani, dall’‘800 fino ai nostri giorni, in innumerevoli Paesi del mondo e nei Continenti, sono stati sostenuti e accompagnati dai “figli e figlie di Don Bosco”, negli anni della loro crescita, per entrare preparati e formati nella vita. Una missione che di certo proseguirà anche nel futuro.

P. Egidio Canil

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