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Card. Zuppi: Chiesa sia madre per poveri. Europa non sia bancomat da sfruttare

Antonio Tarallo Ansa - CLAUDIO PERI
Pubblicato il 19-05-2020

Intervista al Vescovo di Bologna: trasformare contatti virtuali in relazioni  

“Avremo di fronte un'enorme domanda di povertà, che ci richiede di rispondere in maniera concreta, perchè la Chiesa svolga la sua parte di madre per tanti che si affidano ad essa". E' il cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna a scriverlo in una lettera a sacerdoti, religiosi e diaconi della Diocesi con le indicazioni per la ripresa delle messe alla presenza dei fedeli.

Zuppi è stato sempre attento ai temi sociali, fin da quando da era giovane viceparroco della Chiesa di Santa Maria in Trastevere, cuore della città di roma, cuore di tante persone bisognose. Sacerdote di strada, don Matteo (così ama ancora farsi chiamare), che conosce bene - tanto per prendere in prestito le parole di uno degli scrittori più avvincenti del Cattolicesimo, Leon Bloy - “il sangue del povero”. Lo zucchetto color rosso porpora non ha fatto - certo - dimenticare il suo passato di uomo-sacerdote fra la gente, fra i palazzi della periferia romana di Torre, quartiere popolare della Capitale. Ora, i palazzi sono cambiati, le vie diverse - magari da girare sul sellino della sua inseparabile bicicletta - ma lo spirito è lo stesso . Sono le strade della “dotta” Bologna, città che lo ha accolto dal 2015 come Arcivescovo. Abbiamo chiesto al cardinal Zuppi una fotografia di questo tempo presente, con tutte le incertezze e i problemi che reca dietro.

Eminenza, come ha passato questo periodo di quarantena? Un modo diverso di accostarsi alla Parola, visto il maggiore silenzio? 

Direi come tutti: con una certa fatica per la vita quotidiana totalmente cambiata, per i tanti appuntamenti saltati alcuni dei quali erano frutto di tanto lavoro. Ma direi che questa destabilizzazione, umiliazione delle nostre presunzioni mi hanno fatto bene, perché mi hanno riportato all'unico relativismo cristiano: dall'egocentrismo che fa piegare tutto al proprio io. Certamente un tempo di spiritualità, di ritorno all'essenziale e quindi a quello che chiedeva Papa Francesco: di non continuare a fare le cose perché si è sempre fatto così, ma a farne di nuove, soprattutto partendo dalla Parola e dalla preghiera.

Quanto, e se, la Chiesa - secondo lei - cambierà dopo un'esperienza così particolare? Il rapporto con la Fede di molti, potrà essere diverso? Magari molti, avendo avuto la possibilità delle dirette, potrebbero dire: "In fondo, è la stessa cosa". O, per altri, per timore magari di possibile contagio, continueranno nella partecipazione "da casa"...O, invece, questa pausa darà più desiderio di Dio?
Difficile dirlo, ma noi dobbiamo fare in modo che la chiesa cambi e che non tutto torni come prima. Questo segno dei tempi ci è offerto per migliorare, per cambiare, per trovare nuove comunità e un'attenzione rinnovata e più intelligente verso i più deboli. Ciò che è successo agli anziani deve diventare una ricerca assillante per fare in modo che possiamo difendere la loro debolezza. Per quanto riguarda le celebrazioni, dobbiamo sottolineare che questo digiuno dall'Eucaristia non possiamo che leggerlo come opportunità data per riscoprire il Verbum Domini e quell'altro Corpus Domini che sono i poveri. Il rischio del virtuale già c'è. Sta a noi trasformare i contatti in relazioni.

L'Italia riparte, seppur con delle restrizioni. Sappiamo bene quanto i due mesi trascorsi abbiano provato ognuno di noi, individualmente, e l'economia del nostro Paese. Pensiamo al lavoro, alle tante famiglie che già prima dell'emergenza erano in difficoltà. Il Pontefice, più volte, in merito a queste situazioni, ha invitato alla responsabilità dei governanti. Pensa che quella di Papa Francesco, sarà una "voce nel deserto"? 

Non c'è niente di peggio che litigare quando si è sfidati da domande davvero grandi. La voce del Papa è ascoltata ma i governanti, purtroppo, stanno più a sentire le sirene del consenso facile. Dico purtroppo perché alla lunga è proprio chi ha un progetto che può farcela. Se è vero che siamo tutti sulla stessa barca dobbiamo anche dire che non se ne esce da soli.

E, in questo contesto, non può che venire in mente il ruolo dell'Europa. Un banco di prova per l'unità? Forse, comprenderemo, se gli ideali di fratellanza sono ancora quelli che hanno alimentato i fondatori?
Quest'anno abbiamo celebrato i settanta anni della dichiarazione di Schuman. Riscopriamo, allora, la consapevolezza e la visione dei padri fondatori. Mi sembra che le decisioni prese ultimamente stiano andando verso la direzione giusta, ma dobbiamo spingere perché l'Europa faccia la sua parte e non sia un bancomat da sfruttare, ma un sogno da continuare a realizzare. Niente visioni particolaristiche e nazionalistiche.

Veniamo, ora, alla sua Bologna. Ricevute ben 2.334 domande per accedere al Fondo San Petronio voluto da lei, dalla Curia bolognese. Un'impresa che vede la Chiesa in prima linea. Santo impegno e impresa ardua, non c'è dire: nel suo cuore, sempre stati ben presenti, gli ultimi, gli emarginati. Il numero delle domande è elevato, ed è indicatore di un qualcosa che - purtroppo - spaventa. E, allora, inevitabile, si pone la domanda: quale "ricetta" possibile?
Siamo agli inizi. C'è un'emergenza immediata di liquidità, di arrivare alla fine del mese e poi c'è il dramma del lavoro. E' prevedibile che la piena di questi problemi arriverà non subito ma a distanza e dobbiamo fare il possibile per trovare soluzioni. Dobbiamo ricostruire meglio di prima.

San Francesco e i poveri. Cosa ci direbbe se fosse presente, ora? Quali parole potrebbe donare all'umanità in questo delicato momento?
Starebbe con quelli che chiedono l'elemosina sia in senso pratico che figurato. Certamente i lebbrosi che venivani e sono esclusi. Forse oggi sarebbe con gli anziani che sono la parte principale di questo massacro. Dobbiamo interrogarci seriamente sul perché e cercare nuove risposte.

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