Amare l’altro, peccato è tutto ciò che allontana l’uomo dal suo compimento
di Julián Carrón, presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione
Amare l’altro è desiderare il suo bene, la sua realizzazione, la sua pienezza. Quando vediamo qualcuno che non ama se stesso, fino al punto di non desiderare la felicità a cui lo spinge tutto dentro di sé, ci viene da esclamare: che peccato! Peccato, infatti, è tutto ciò che allontana l’uomo dal suo compimento.
Al culmine della sua vicenda umana, Gesù ci svela la ragione ultima del metodo che ha usato lungo tutta la sua vita. Egli si rivolge ai peccatori in un modo che scandalizza, tanto è senza misura: “Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua” (Lc 19,5). Pensiamo alla samaritana al pozzo, Lui le rivela tutto quello che ha fatto con una tenerezza tale che la libera dalla sua storia di tradimenti; o all’adultera, che si sente talmente investita da uno sguardo di misericordia per cui le è naturale accogliere l’ammonimento di Gesù: “Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più” (Gv 8,11).
È lo stesso atteggiamento che ritroviamo in papa Francesco: «L’unica forza capace di conquistare il cuore degli uomini è la tenerezza di Dio. Ciò che incanta e attrae, ciò che piega e vince, ciò che apre e scioglie dalle catene non è la forza degli strumenti o la durezza della legge, bensì la debolezza onnipotente dell’amore divino, che è la forza irresistibile della sua dolcezza e la promessa irreversibile della sua misericordia» (Discorso ai Vescovi del Messico, 13 febbraio 2016).
Lo aveva intuito bene Dostoevskij, quando scriveva: “Volete castigare tremendamente, severamente un uomo, ma al fine di salvarlo e di rigenerare la sua anima per sempre?
Schiacciatelo con la vostra misericordia, mostrategli l’amore, ed egli maledirà il suo operato. Quest’anima si dilaterà, sarà schiacciata dal rimorso e dall’infinito debito che d’ora in poi le starà dinanzi” (I fratelli Karamazov).
Si capisce, allora, perché sant’Ambrogio pregasse così: “Ogni volta che si tratta del peccato di uno che è caduto, concedimi di provarne compassione e di non rimbrottarlo altezzosamente, ma di gemere e piangere, così che, mentre piango su un altro, io pianga su me stesso” (De Paenitentia, II, 8, 73).
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