Venezuela. Cresce la tensione tra Usa e Russia
LA PREOCCUPAZIONE DEI VESCOVI
Esplode lo scontro tra Stati Uniti e Russia mentre continua a salire la tensione nelle strade in Venezuela. La crisi nel Paese latinoamericano ha innescato un vero e proprio braccio di ferro tra Washington e Mosca, con accuse reciproche e minacce.
La capitale Caracas è stata teatro ieri di due imponenti mobilitazioni, a favore e contro il governo chavista, in cui il leader dell'opposizione autoproclamatosi presidente Juan Guaidó, al grido di "sì si può!", ha chiesto ai suoi militanti di accompagnarlo per ottenere la fine della «usurpazione» del potere da parte del presidente Nicolás Maduro, mentre quest'ultimo ha celebrato «la sconfitta della destra golpista» che «voleva portare il Paese alla guerra civile».
Guaidó: scioperi e manifestazioni fino alla caduta di Maduro
La giornata di protesta dei sostenitori di Guaidó, pur svolta nella Giornata internazionale dei lavoratori, era parte della Operazione Libertà che «terminerà quando l'attuale capo dello Stato "illegittimo" avrà abbandonato il Palazzo di Miraflores». In vari punti di Caracas, e anche in alcune località venezuelane, vi sono stati incidenti fra gruppi di opposizione e Guardia nazionale bolivariana (Gnb) che secondo le Ong di difesa dei diritti umani hanno causato decine di feriti. Una donna e un ragazzo sono rimasti uccisi
Arringando i suoi sostenitori nel quartiere El Marqés nella capitale, Guaidò ha annunciato che a partire da oggi inizierà un programma di scioperi scaglionati nell'amministrazione pubblica, fino a far sì che tutti i settori si uniscano in uno sciopero generale: «Resteremo nelle strade fino ad ottenere la fine dell'usurpazione, un governo di transizione e libere elezioni».
Maduro sul golpe sventato: un gruppo di «codardi e criminali» Da parte sua Maduro, rivolgendosi alla "Marea rossa" chavista presentata dai suoi collaboratori come «vari chilometri di militanti», ha sostenuto che si è trattato di «una delle marce più grandi della storia», «una mobilitazione monumentale». Alludendo infine alla rivolta militare di martedì guidata dal leader di Voluntad Popular, Leopoldo López, e da Guaidó, Maduro ha parlato di «un gruppo di persone, di codardi e criminali, che rispondevano alla destra golpista», i quali «devono capire una volta per tutte che entrare nel Palazzo presidenziale di Miraflores è possibile solo col voto popolare e mai con l'uso di armi della Repubblica contro la Repubblica».
Scambio di accuse tra Usa e Russia In una burrascosa telefonata ieri, all'indomani del «golpe fallito», come l'ha liquidato Maduro, il ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov ha rinfacciato al collega americano Mike Pompeo di non aver escluso un'azione militare Usa nel Paese. «È possibile», aveva detto Pompeo. «Se necessario, è quello che faranno gli Stati Uniti» per restaurare la democrazia, «anche se preferiremmo una transizione pacifica del potere». Immediata la reazione di Mosca, che ha ammonito Washington a non immischiarsi negli affari interni del Venezuela, minacciando altrimenti «gravi conseguenze». «È una violazione flagrante del diritto internazionale che non ha nulla a che fare con la democrazia», ha urlato al telefono Lavrov.
Altrettanto dura la replica di Pompeo, che ha accusato la Russia (e Cuba) di voler «destabilizzare» il Venezuela, mettendo così a rischio le relazioni bilaterali tra Washington e Mosca. Il capo del Dipartimento di Stato ha quindi insistito perché la Russia cessi immediatamente le attività di sostegno a Maduro.
A mettere in guardia Cuba è stato lo stesso presidente Donald Trump che ha twittato: «Se le truppe e le milizie cubane non cesseranno immediatamente le operazioni militari e di altro genere allo scopo di causare la morte e la distruzione della Costituzione venezuelana, imporremo un embargo totale sull'isola insieme a più sanzioni».
Redazione internet - Avvenire
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