Pizzaballa: 'In Medioriente no stabilità senza risolvere questione palestinese'
L'Amministratore Apostolico del Patriarcato di Gerusalemme lo ha ricordato in un evento dei Cavalieri del Santo Sepolcro
“La stabilità del Medioriente non può prescindere da una soluzione chiara e dignitosa della questione del palestinese”. L’arcivescovo Pizzaballa Amministratore Apostolico del Patriarcato di Gerusalemme lo ha ribadito ieri nella conferenza che si si è tenuta a Palazzo della Rovere. “Terra Santa e Medioriente: attualità e prospettive possibili”, questo il tema dell’evento promosso dall’Ordine dei Cavalieri del Santo Sepolcro, in forma di intervista guidata da Piero Damosso.
Le domande hanno toccato vari argomenti, dalla gestione della pandemia e le sue conseguenze in Terra Santa, al cruciale ruolo di sostegno svolto dai Cavalieri durante l’emergenza, fino ai nodi politici più delicati che investono la Regione. L’intervista, trasmessa in diretta streaming grazie all’impegno di EWTN, è stata introdotta dal Gran Maestro dell’Ordine dei Cavalieri del Santo Sepolcro, il cardinale Filoni che in mattinata aveva presieduto a San Pietro la messa per la festa di Maria Regina della Palestina, protettrice dell’Ordine e della Terra Santa.
Pizzaballa, da quattro anni alla guida della Chiesa di Gerusalemme, ha parlato delle conseguenze della pandemia nella sua Diocesi: “Per la realtà palestinese, che è la realtà socialmente più fragile, è stato un colpo durissimo all’economia; i pellegrinaggi si sono totalmente azzerati, creando una situazione economica molto difficile per migliaia di famiglie”.
L’Amministratore Apostolico ha raccontato come in Terra Santa, l’idea che le chiese o le sinagoghe o le moschee restino totalmente chiuse al pubblico “è sempre stata ostica da digerire”, e dove “la fede, la preghiera e il culto hanno una dimensione pubblica che forse l’Europa non ha più”. Una società migliore, ha detto Pizzaballa, che abbia “imparato la lezione“ dopo la pandemia sarà possibile solo “se impariamo a collaborare insieme, se accettiamo l’idea che siamo fratelli l’uno dell’altro, se accettiamo l’idea che dobbiamo vivere insieme, chiamati a vivere insieme” onde per cui si rende necessario costruire “trame di vita comune”.
Nel corso dell’incontro si è fatto spesso riferimento all’esigenza di costruire fiducia in una Terra in cui convivono popoli diversi e dove è urgente il bisogno di fraternità; un contesto complicato dal fatto che “religione e politica si mischiano” e dove lo stare insieme “ha conosciuto momenti molto belli ma anche tante difficoltà”. Difficoltà che non è sufficiente superare solo sul piano istituzionale, ma che occorre affrontare nel quotidiano, promuovendo il messaggio di fraternità “nelle scuole, negli ospedali, là dove la gente cresce e vive”.
Sulla questione della pace in Medio Oriente l’arcivescovo, che non vede in modo positivo l’accordo tra Israele ed Emirati per la questione palestinese, afferma che “la soluzione due popoli-due stati, è l’unica non-soluzione possibile. Non puoi dire ai palestinesi che non hanno diritto a una terra e una nazione. E’ chiaro che hanno diritto ad averlo. Tecnicamente mi chiedo come questo sia possibile oggi, data l’attuale situazione politica”.
Quale potrebbe essere allora il cammino per una soluzione? “Bisogna lavorare sui tempi lunghi. In questo momento bisogna ricostruire la fiducia tra le due popolazioni. Bisogna ricostruire nel territorio gesti che piano piano ricostruiscano la fiducia tra i due. Questo non lo fai tra l’oggi e il domani”. Si tratta di un’opera che “richiede visione e leadership che in questo momento non ci sono”. E conclude: “Occorre ripartire da capo, tenendo presente la lezione del passato, del fallimento degli accordi di Oslo, e costruire una leadership da ambo le parti che abbia visione. In questo momento l’unica cosa che possiamo fare è lavorare nel territorio, nelle micro-situazioni come scuole, ospedali, gruppi, centri culturali, anche se possono sembrare realtà di nicchia. E poi da lì ricostruire poco alla volta un tessuto nei tempi lunghi”.
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