esteri

Migranti, oltre l’emergenza

Gianluca Di Feo - Repubblica Ansa/Francesco Ruta
Pubblicato il 31-08-2020

All'Italia manca una politica estera

Il picco di sbarchi del fine settimana nasce da contesti molto diversi, ma pone il governo Conte davanti allo stesso problema: la latitanza di una politica estera che permetta di gestire le crisi del Mediterraneo. In Tunisia le istituzioni sono a un passo dal collasso e la pandemia ha dato il colpo di grazia al turismo, già amputato dal terrorismo islamico, e alle ultime attività imprenditoriali: scappare in Europa è l’unica speranza per chi non vede più un futuro. Fuggono cittadini tunisini ed è molto più difficile convincere le forze dell’ordine locali a fermare i loro stessi connazionali, perché l’emigrazione fa parte della cultura nazionale e non è percepita come una violazione di legge. In Libia proprio due giorni fa è stato rimosso il ministro dell’Interno di Tripoli, sotto la cui autorità ricadono le spiagge dei barconi, aprendo l’ennesima turbolenza nell’esecutivo Serraj. La decisione ha minato gli equilibri tra le milizie, molte delle quali finanziate dal traffico di esseri umani, e ha comunque creato una fase di incertezza nei controlli. Ma dopo l’insediamento dei turchi in Tripolitania e la tregua nel conflitto con la Cirenaica del maresciallo Haftar, la nostra capacità di influenzare le scelte libiche appare sempre più ridotta.

Roma sembra avere perso il contatto con l’altra sponda del Mediterraneo. Nonostante l’impegno del ministro dell’Interno Luciana Lamorgese e dell’intelligence, il nostro governo continua a essere privo di una strategia globale: ogni iniziativa è dettata dall’emergenza, come se cercassimo di rabberciare le falle che si aprono di volta in volta. Una linea che inevitabilmente ci espone al periodico riproporsi degli stessi allarmi e delle ondate di sbarchi, affrontati alla stregua di questioni di ordine pubblico mentre sono la manifestazione di un cambiamento geopolitico che non si fermerà in tempi brevi.

La stabilità della Tunisia e la pacificazione della Libia sono argomenti vitali per l’Italia e dovrebbero essere prioritari nell’agenda dell’esecutivo Conte: siamo noi a dovere prendere in mano la situazione e assumere una leadership che convinca l’Europa a intervenire con decisione. Invece il governo non riesce nemmeno a risolvere l’ambiguità di fondo nell’approccio all’immigrazione, con il Movimento 5 Stelle ancora legato a quell’impostazione securitaria che assieme a Matteo Salvini partorì il blocco dei porti e il Pd incapace di imporre una svolta. I decreti leghisti restano formalmente in vigore, anche se spesso inapplicati, mentre la loro revisione — chiesta anche dal capo dello Stato — viene rinviata di volta in volta: l’ultima scadenza — come scrivono Tommaso Ciriaco e Alessandra Ziniti — è slittata a dopo le regionali.

Nel frattempo questa ambiguità pesa a Bruxelles: ha determinato la fine della missione navale Ue Sophia e sta frenando la partenza dell’operazione Irini, entrambe destinate al controllo delle acque libiche. Ma soprattutto ci impedisce di essere protagonisti nel determinare un nuovo impulso europeo ai problemi dell’Africa, che riesca a garantire il rispetto dei diritti e una regolamentazione dei flussi migratori. Alle incertezze del passato adesso si è aggiunta quella generata dalla pandemia, che aumenta la paura per chi arriva dal Maghreb e offre altri pretesti all’intolleranza: il coronavirus, però, in quei Paesi sta esasperando la disperazione di chi non ha nulla da perdere. E rischia di aprire la strada a un esodo di dimensioni mai viste.

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