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Donne parigine in rivolta per la parità salariale in Europa

Redazione online AFP
Pubblicato il 30-11--0001

Da Parigi flash mob e proteste per chiedere l’uguaglianza salariale in tutta Europa. Una lavoratrice impiega in media 38,2 giorni in più per avere la paga degli uomini

Le donne, ovviamente, continueranno a lavorare anche dopo quel limite temporale, «ma a titolo benevolo», afferma con ironia Rebecca Amsellem, docente universitaria di appena 28 anni. L’ora x è scoccata ieri pomeriggio, alle 16 e 34 e 7,5 secondi: «A quel momento gli uomini hanno già guadagnato una cifra che alla donna serve un anno intero per ottenere», continua la Amsellem, animatrice di un collettivo di femministe francesi, le «Glorieuses».

L’organismo, sulla base di una differenza media di stipendio fra i due sessi di più del 15%, ha calcolato che le donne francesi lavorano 38,2 giorni in più dei maschi per arrivare allo stesso salario. In tante ieri invocavano uno «sciopero» a partire di quell’ora, «ma in realtà – precisa la Amsellem – non abbiamo chiesto alle donne di abbandonare il posto di lavoro, non sarebbe possibile. Ma sì, di appropriarsi di questo numero per discuterne: per mobilizzarsi». Una sorta di flash mob sui posti di lavoro, tutte in piedi, ferme, per denunciare le differenze.Nel pomeriggio in tante si sono riunite a dibattere nella piazza della République, ombelico della Francia repubblicana. Ma la mobilizzazione è avvenuta soprattutto su Internet, con un hashtag (7novembre16H34), che ieri su Twitter ha spopolato. Le francesi sono le prime in Europa a recuperare un’idea nata in Islanda: lì, lo scorso 24 ottobre, si è tenuta una manifestazione per le strade di Reykjavík, per chiedere l’eguaglianza salariale uomo-donna.

La cifra presa in considerazione da Glorieuses del 15,5% è il divario registrato in Francia da un’inchiesta di Eurostat, contro una media europea del 16,7%. Si tratta in realtà di un’elaborazione di dati del 2010 e che non prendono in considerazione il livello di studi, quello di responsabilità, né l’anzianità sul mercato del lavoro: è giusto la differenza tra il salario orario lordo di uomini e donne nel loro insieme. L’Insee, l’equivalente francese dell’Istat, ha realizzato un sondaggio con dati del 2013 sulla base di alcuni parametri (età, categoria socio-professionale e differenziando part-time e tempo pieno): in questo modo la differenza è scesa a una media del 9,9%. Ma resta ancora molto elevata.

Ritorniamo a Eurostat: l’Italia in quel caso si posiziona molto bene (con appena il 7,4% di divario: solo Slovenia e soprattutto Romania fanno meglio di noi). Ma, proprio a provare che quella statistica non è affidabilissima, lo scorso maggio un rapporto di Glassdoor Economic Research, realizzato su dati 2015 in 18 Paesi (tutti europei, tranne gli Usa), ha apportato nuovi elementi di considerazione, non proprio lusinghieri per l’Itaia. Innanzitutto il tasso di occupazione: il nostro Paese presenta in assoluto la differenza più grande tra uomini e donne (18 punti percentuali: rispettivamente il 65 e il 45%), mentre la Finlandia è la prima della classe, seguita da Svezia e Norvegia. In terra finnica siamo al 68% per le donne contro il 70% degli uomini. Glassdoor ha preso in esame anche la percentuale di donne sul totale dei manager. Ebbene, qui l’Italia è terzultima: fa meglio solo dell’Olanda (la peggiore) e della Danimarca. Il terzetto oscilla intorno al 27%. 

In testa, invece, si ritrovano Svezia, Norvegia, Regno Unito e Portogallo, con quote vicino al 40%. Da noi va molto meglio per la presenza delle donne nei board delle imprese, grazie alle legge 120/2011 che ha imposto, dall’agosto 2012, una quota di genere nei consigli d’amministrazione delle società quotate in Borsa: la prova che niente avviene per caso. Su questo parametro nell’inchiesta di Glassdoor l’Italia si posiziona ormai nella fascia medio-alta (intorno al 26%, con Danimarca, Regno Unito e Germania). Sì, ma ancora lontano dalla Norvegia, che legiferò nel lontano 2003. E oggi rasenta il 40%. La Stampa

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