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Dal Camerun al Cile, da Haiti alla Bosnia: il pallone arriva nelle periferie del mondo

Redazione Vatican Insider
Pubblicato il 25-07-2019

A dispetto del clima culturale dominante che indica la cura ossessiva di sé, l’indipendenza da ogni vincolo e l’ottimizzazione del godimento come strategia di felicità e suggerisce l’inutilità delle migliori passioni della vita, c’è chi continua a credere che sia bello e giusto vivere per altri le proprie qualità migliori e corrispondere come meglio può, con dispendio di sé, a ciò che di buono ha ricevuto. E lo fa con letizia e passione, mettendo in conto sacrifici e fatiche. Come i quasi trecento giovani, dai 17 ai 35 anni, che dal 2011 ad oggi hanno partecipato alle 38 missioni di volontariato sportivo internazionale promosse dal Centro Sportivo Italiano (Csi), la grande associazione di ispirazione cristiana che oggi conta 1.200.000 tesserati (il 60% di età inferiore ai 16 anni), coinvolge 13mila società sportive (gran parte delle quali sorte nelle parrocchie) e un numero molto elevato di volontari.

 

Le missioni, che durano mediamente tre settimane, hanno preso avvio nel 2011 ad Haiti. «Furono i padri scalabriniani a invitarci chiedendo di organizzare momenti di gioco e attività sportive per i bambini della capitale che molto avevano patito a causa del devastante terremoto che aveva colpito l’isola», racconta Massimo Achini, all’epoca presidente del Csi e oggi responsabile del progetto “Csi per il mondo”. «Decidemmo di partire con alcuni dei nostri animatori e allenatori volontari, ragazzi e ragazze desiderosi di restituire il sorriso a quei bambini regalando loro giornate di svago e di serenità. Fu un successo. Decidemmo quindi di progettare nuove missioni in zone di frontiera, rispondendo alle richieste che ci giungevano dai religiosi di diverse congregazioni».

 

Nel corso degli anni il Csi ha organizzato missioni in Bosnia, Albania, Kenya, Ruanda, Congo, Camerun, Cile. I volontari hanno operato in villaggi sperduti della foresta africana e nei quartieri difficili e degradati delle grandi città, negli orfanotrofi e nelle carceri. Inoltre, grazie alla collaborazione con il Coni, nel 2016, in occasione delle olimpiadi, è stata compiuta una missione in Brasile, a Rio de Janeiro: i volontari, ospitati a Casa Italia insieme agli atleti della Nazionale, hanno svolto le loro attività in alcune favelas della città. Nel 2015 è stato inoltre organizzato un intervento in Iraq, a Erbil, per alleviare le sofferenze dei giovani cristiani costretti a fuggire in Kurdistan dalla Piana di Ninive a causa dell’avanzata dell’Isis. «Ricordo bene quella missione», racconta Achini. «Ci era stato chiesto di raggiungere anche alcuni villaggi nelle vicinanze di Mosul per organizzare alcune partite di calcio per i bambini. Quando giungemmo all’ultimo check point ci mettemmo in fila: a molte persone, che pure erano in possesso di permessi diplomatici, fu proibito proseguire: noi, “quelli dello sport”, fummo subito lasciati passare. Il pallone apre molte porte! Un giorno nella capitale di Haiti, Port-au-Prince, i capi delle quattro bande armate che di fatto governavano la Cité Soleil (grande baraccopoli cittadina nella quale le forze dell’ordine hanno paura ad entrare) mi chiesero di organizzare un torneo di calcio per i bambini del luogo. Rassicurato dai missionari scalabriniani e dalla polizia circa l’assenza di pericoli per i nostri volontari, acconsentii. Fu un’esperienza entusiasmante».

 

Durante le missioni i volontari, che prima di partire seguono un percorso formativo ad hoc, organizzano grandi giochi collettivi, allenamenti e competizioni sportive (in prevalenza partite di calcio e pallavolo) ma anche corsi di formazioni con l’obiettivo di preparare i giovani di quei Paesi al ruolo di educatori, allenatori, arbitri. Grazie a quest’opera di formazione, ad Haiti, in Cile e in Bosnia sono stati recentemente fondati Csi locali, associazioni che in futuro saranno in grado di garantire percorsi educativi attraverso lo sport senza più dipendere dalla presenza dei volontari italiani.

«I missionari con i quali collaboriamo ci raccontano che le attività da noi proposte accelerano il felice esito delle loro attività in campo sociale e pastorale», sottolinea Vittorio Bosio, attuale presidente del Csi. «Il criterio che guida l’azione della nostra associazione è lo spirito di accoglienza: alle diverse attività sportive tutti sono benvenuti. Lo sport dovrebbe sempre promuovere valori buoni ma, di fatto, in tutto il mondo produce scarti: chi non eccelle, chi non ha le doti per diventare un campione, viene pian piano messo da parte. Per noi, invece, ogni giovane è prezioso. Desideriamo che tutti si sentano benvoluti, stimati, aiutati. Penso che questo spirito di accoglienza sia una delle ragioni del successo delle nostre missioni internazionali. Insegnare e praticare sport con autentico spirito di accoglienza contribuisce a generare amicizia, fraternità, rispetto, benevolenza sia in contesti degradati, percorsi da tensioni, divisioni, violenze, sia in contesti (ad esempio quello europeo) segnati da individualismo e spirito di competizione sfrenati».

 

Sono sempre più numerosi i missionari che richiedono l’intervento dei volontari del Csi: purtroppo, spiega Achini, l’organizzazione di queste attività è costosa e, a causa della esiguità dei fondi, non si riescono a soddisfare tutte le richieste. Di recente è stato però possibile programmare missioni in due nuovi Paesi, il Madagascar e la Colombia. Inoltre, con qualche probabilità, in collaborazione con l’Università Cattolica, in autunno i volontari si recheranno per la prima volta anche in Siria, ad Aleppo, per portare allegria e sollievo ai bambini duramente provati dalla guerra.

 

L’esperienza di volontariato internazionale – prosegue Achini – lascia una traccia profonda nei volontari: «Ho visto ragazzi piangere di gioia dopo aver trascorso una giornata facendo giocare a pallone centinaia di bambini nella Cité Soleil di Haiti.  Ho visto ragazzi commuoversi sino alle lacrime scoprendo quanto un pallone riuscisse a rendere felici ottocento bambini poverissimi che vivevano in piccoli villaggi della foresta camerunense». Le missioni si rivelano una scuola di vita incomparabile: i ragazzi, al ritorno, si dimostrano più maturi e ancora più sensibili ai bisogni degli altri: «Partono carichi di entusiasmo, tornano con la soddisfazione di aver dato il meglio di sé e aver contribuito, non senza fatica, a rendere almeno un poco più abitabile il mondo», dice Bosio.

 

Papa Francesco, che nel 2014 aveva incoraggiato il Csi a portare «il pallone ai ragazzi delle periferie del mondo»,  nel maggio scorso ha espresso la propria gratitudine a quanti «si dedicano ai progetti di volontariato internazionale, che rappresentano un segno prezioso per il nostro tempo». Queste parole, osserva Bosio, «ci hanno dato forza: ci siamo sentiti spronati a perseverare nella nostra dedizione alle giovani generazioni e nell’attenzione alle molte periferie del mondo (presenti anche in Italia) nelle quali ai bambini è negata un’infanzia serena». Pensando al futuro, Achini aggiunge: «Insieme a Valentina Piazza, che coordina i volontari, vorrei strutturare meglio l’attività internazionale in modo da garantire solidità e continuità ai progetti che portiamo avanti. Sto lavorando anche per incrementare le missioni destinate alla formazione di educatori, allenatori e arbitri in modo da diffondere lo spirito di volontariato che caratterizza in Csi e aiutare le giovani generazioni dei diversi Paesi a costruire un futuro buono in completa autonomia».


La Stampa, Vatican Insider 

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