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Algeria, spallata dei militari. Bouteflika lascia la presidenza

Redazione Reuters
Pubblicato il 03-04-2019

A 82 anni il capo dello Stato ha ufficialmente annunciato le dimissioni. Anche i militari lo hanno abbandonato.

«Il presidente Abdelaziz Bouteflika si è dimesso». A fine giornata i media algerini moltiplicano la notizia che le piazze aspettano da un mese e mezzo, da quando gli studenti prima e poi i commercianti, gli avvocati, i farmacisti, i sindacati e fette sempre più consistenti dell’esercito hanno iniziato ad alzare la voce contro un regime bloccato che imponendo il quinto mandato dell’82enne e malatissimo Capo di Stato contava di prolungare il proprio potere ultra trentennale.

Da giorni i militari, sinora saldo puntello del sistema algerino, lanciavano segnali di riposizionamento. Prima l’appoggio ufficiale del ministro della difesa generale Ahmed Gaid Salah ai manifestanti rimasti pacifici, poi il rinvio delle elezioni inizialmente previste per il 28 aprile e il rimpasto di governo, infine l’annuncio di una conferenza nazionale per scrivere la nuova Costituzione.

Adesso, di fronte alla determinazione di un popolo che - compattatosi come non era avvenuto prima per paura dei fantasmi della guerra civile - non chiedeva più solo la destituzione di Bouteflika ma dell’intero sistema, l’esercito si schiera. Dopo un incontro tra i vertici delle forze armate il generale Salah prende la guida: scatta l’applicazione immediata dell’articolo 102 della Costituzione, quello che rimuove il presidente per «impedimento fisico all’esercizio delle funzioni» (Bouteflika, è stato colpito da ictus anni fa e da allora è sulla sedia a rotelle, ma da tempo non parlava alla nazione).

Il passo indietro ricorda nella modalità quelli di Ben Ali e di Mubarak travolti dalla primavere tunisina e egiziana fino a essere abbandonati dai rispettivi eserciti. È un cedimento del sistema ma anche una forma di blindatura, di certo la data del 2 aprile 2019 archivia un’era che per l’Algeria va dall’eroicaguerra d’indipendenza contro la Francia (lo stesso Bouteflika viene dall’esercito di liberazione) al sanguinoso conflitto civile degli Anni 90 costato circa 200 mila vittima e la cessione della sovranità nazionale ai militari in nome della lotta all’islamismo.

Sullo sfondo c’è un Paese ricchissimo (tra i primi produttori mondiali di gas e petrolio) con una popolazione molto giovane ma governata dalla vecchia inamovibile guardia che si spartisce le risorse brandendo il pugno di ferro della sicurezza. La rabbia, repressa nel 2011, covava nelle università e nelle fabbriche. Basterà alla piazza il sacrificio di Bouteflika? La struttura vacilla e da tempo l’attenzione è altissima anche all’estero, soprattutto in Francia e in Arabia Saudita.

Riconoscendo le ragioni del popolo, il generale Salah denuncia ora anche «il saccheggio» e «lo sperpero del potenziale economico e finanziario del Paese» puntando il dito contro «una manciata di persone» che hanno accumulato «in breve tempo ingenti ricchezze con metodi illegali».

Secondo l’Agenzia Nova la Procura generale di Algeri avrebbe aperto un fascicolo per indagare sui casi di presunta corruzione e su trasferimenti illeciti di capitali all’estero, 12 top manager sarebbero impossibilitati a lasciare il Paese (domenica era stato arrestato l’ex presidente del Forum dei capi d’impresa Ali Haddad). È la fine di un’era, ma non si vede ancora all’orizzonte quella successiva.

Francesca Paci - La Stampa

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