editoriale

Fratellanza, l'editoriale di Antonio Spadaro su L'Espresso

Antonio Spadaro - L Espresso ANSA/Alberto Pizzoli
Pubblicato il 03-02-2020

Un anno fa il Papa e il Grande Imam di Al-Azhar firmavano la Dichiarazione di Abu Dhabi

La fratellanza non è solamente un’emozione o un sentimento o un’idea, ma un dato di fatto. Può essere il frutto della nascita dagli stessi genitori o del riconoscimento di una comune figliolanza divina o della medesima umanità. Il suo resta in ogni caso un messaggio dal forte valore politico, perché capovolge la logica dell’apocalisse. Questa è la logica integralista che combatte contro il mondo perché crede che esso sia l’opposto di Dio, cioè idolo, e dunque da distruggere al più presto per accelerare la ine del tempo. Il baratro dell’apocalisse, appunto, davanti al quale non ci sono più fratelli: solo apostati o martiri in corsa «contro» il tempo. La fratellanza invece occupa il tempo, richiede il tempo. Quello del litigio e quello della riconciliazione. La fratellanza perde tempo. L’apocalisse lo brucia. La fratellanza richiede il tempo della noia. L’odio è pura eccitazione. La fratellanza è ciò che consente agli eguali di essere persone diverse. L’odio elimina il diverso. La fratellanza salva il tempo della politica, della mediazione, del compromesso, dell’incontro, della costruzione della società civile, della cura. Il fondamentalismo lo annulla in un videogame.

Ecco perché un anno fa, il 4 febbraio 2019 ad Abu Dhabi, Francesco, il papa cattolico, e Ahmad al-Tayyeb, il grande imam di al-Azhar, hanno firmato uno storico documento sulla fratellanza. I due leader si sono riconosciuti fratelli e hanno provato a dare insieme uno sguardo sul mondo d’oggi. E che cosa hanno capito? Che l’unica vera alternativa che sida e argina la soluzione apocalittica è la fratellanza. E così – davanti a una situazione mondiale «dominata dall’incertezza, dalla delusione e dalla paura del futuro e controllata dagli interessi economici miopi» – hanno cominciato a parlare non solamente in nome di Dio, ma anche «in nome di» poveri, orfani, vedove, cioè di coloro la cui soggettività appare mutilata o persa.

Il papa e l’imam hanno cominciato a parlare di tutti come fratelli e a strappare cristiani e musulmani dal bordo del baratro. Occorre riscoprire questa potente parola evangelica, ripresa nel motto della Rivoluzione Francese, ma che l’ordine post-rivoluzionario ha poi abbandonato ino alla sua cancellazione dal lessico politico-economico. E noi l’abbiamo sostituita con quella più debole di «solidarietà». Il riconoscimento della fratellanza cambia la prospettiva, la capovolge e diventa un forte messaggio dal valore politico: tutti siamo fratelli, e quindi tutti siamo cittadini con uguali diritti e doveri, sotto la cui ombra tutti godono della giustizia. E del tempo che ci è dato di vivere.

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