editoriale

Fortunato: 'L’Italia riparte. L’Italia riapre. L’Italia va avanti'

Padre Enzo Fortunato Redazione Rivista San Francesco
Pubblicato il 02-06-2021

Ogni volta che utilizziamo la parola Italia, ci chiediamo quando sia stata utilizzata per la prima volta  E’ Cimabue. Scrive la parola Ytalia su un affresco all’interno della Basilica Superiore di Assisi. La culla di Francesco che, per primo, la “unifica” sotto una lingua comune scrivendo in volgare il Cantico delle Creature. Poi Dante con la Commedia farà del volgare toscano l’idioma nazionale. 

L’Italia, quindi, “non è nata dalla politica o dalla guerra. Non da un matrimonio dinastico, non da un trattato diplomatico. E’ nata dalla cultura e dalla bellezza. Dai libri e dagli affreschi”, come scrive  Aldo Cazzullo. Dagli affreschi. Nel caso specifico il dipinto di Cimabue. Prima del sisma del 1997, entrando nella Basilica Superiore, distogliendo lo sguardo dalla vita di Francesco raccontata da Giotto, e sollevandolo verso la volta si veniva rapiti dai colori del maestro Cimabue. Di quattro vele dedicate agli evangelisti ne sono rimaste tre. Il terremoto ha distrutto quella intitolata a San Marco, sulla quale campeggiava la scritta Ytalia.

Ognuno dei quattro evangelisti è accompagnato da un’iscrizione che ne identifica il luogo di predicazione: Giovanni in Asia, Luca in “Ipnacchaia” (Acaia), Matteo in “Iudea” (Giudea) e Marco in “Ytalia”. A sua volta ogni paese è identificato da una città: per la Giudea Gerusalemme, per l’Acaia Corinto, per l’Asia Efeso e per l’Italia Roma.  Cimabue dunque, nella vela ormai perduta, dipinge l’Italia come una città: e non una qualunque, ma Roma. La capitale naturale d’Italia. Circondati dalle mura si distinguono nettamente sette monumenti ben caratterizzati. La cura e la precisione con cui sono stati dipinti lasciano riconoscere il Pantheon- Santa Maria Rotunda, sulla cui trabeazione si legge “QVLT”; il palazzo senatorio, la Basilica di San Pietro, la meta Romuli e la mole di Castel Sant’Angelo, infine la Torre delle Milizie e una basilica con un portico.

La dipinse non come una veduta, ma come un’idea, celebrando questa città come centro della Fede: la sua porta è aperta a tutti coloro che vengono in pace. Una nazione aperta, una città a cui tutti possono aggiungere qualcosa di bello, una Repubblica il cui palazzo più alto appartiene a tutto il popolo. In sette secoli la visione di Cimabue è diventata il progetto della Costituzione: ma quanto lavoro ci resta da fare per costruire l’Italia aperta? L’articolo 9 della Costituzione recita: «La Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della nazione». È l’unica volta che, tra i principi fondamentali della nostra nuova Italia, si usa questa parola: «nazione». E la si usa per dire: l’Italia è la sua storia, la sua natura, la sua arte. Non il sangue, la stirpe, la lingua o la religione: ma la cultura. Come matrice, ma anche come progetto. 

Ciò che ci piace, e che speriamo possa portare con se la “riapertura” del dopo pandemia, sia un’Italia bella, inclusiva, che ha voglia di ricominciare e che crede nell’uguaglianza, nella responsabilità. Ricostruiamo insieme l’Ytalia/Italia, quella distrutta dal terremoto della pandemia, come racconta l’inchiesta della redazione della Rivista San Francesco. C’è gente, brava gente, che non vuole sporcarla con l’egoismo, l’omofobia, col razzismo, ma la vuole affrescare con i colori e i gesti della generosità , dell’altruismo, del farsi prossimo, della condivisione, del recuperare il tempo nelle relazioni con i familiari e comprendere che è più importante la propria presenza con gli altri che un pacco regalo o una banconota, ma che soprattutto ha scoperto che l’Italia merita di meglio e il meglio lo portiamo dentro. Non basterà un video virale per far pensare che gli italiano non siano usciti migliori dalla pandemia. Insieme l’Italia è più bella. (Huffington Post)

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