cultura

RIFLESSIONI: FRANCESCO E FRANCESCO. DUE RIVOLUZIONI O UNA SOLA?

Franco Cardini
Pubblicato il 30-11--0001

C’erano tanti modi di dirsi cristiani. Certo, ancor oggi le differenze esistono e non si può far finta che appartenere a confessioni diverse sia una cosa da nulla

C’è stato un tempo, non troppo lontano, nel quale c’erano tanti modi di dirsi cristiani. Certo, ancor oggi le differenze esistono e non si può far finta che appartenere a confessioni diverse sia una cosa da nulla. Tuttavia, non c’è dubbio che oggi conti l’appartenenza a una fede religiosa: chi ne ha una finisce con sentirsi più solidale a chiunque altro ne abbia a sua volta una che non a chi non ce l’ha, anche al di là di differenze linguistiche o culturali o di altro genere che possono essere molto profonde.

 D’altronde, quel fenomeno profondo e complesso che noi chiamiamo “religione” risponde a complessi insiemi mito-socio-antropo-culturali che a volte pochissimo si somigliano tra loro: non basta certo dirsi genericamente “credenti” in “Dio”, o “nel Divino”, o “in un Qualcosa”. Anzi, quel che nel Settecento si definiva “teismo” finisce col somigliare più a un ateismo che non osa confessarsi tale che a una fede religiosa. Per noi che abbiamo accettato il Patto tra Dio e Abramo, Dio è L’Onnipotente Creatore e Signore di tutte le cose, immensamente giusto e immensamente misericordioso al tempo stesso.

 Ma questa fede comune non ci basta. Se l’ebraismo è la religione di una Legge, la Torah, e l’Islam la religione di una Sacra Scrittura, il Corano, il cristianesimo è la religione di un Uomo: un Vero Uomo ch’è anche vero Dio. Io credo che tutte le tre religioni abramitiche siano allo stesso modo vicine a Dio: ma senza dubbio il cristianesimo è incommensurabilmente più vicino all’uomo rispetto alle altre due.

 Francesco d’Assisi capì tutto ciò perfettamente e completamente all’inizio del XIII secolo, quando le fede nel Cristo era ancora soprattutto veterotestamentaria e apocalittica, quando il Vangelo vi aveva relativamente poco posto e nelle chiese, nella Cristianità orientale come in quella occidentale, si adorava soprattutto se non esclusivamente il Christus Triumphans, vincitore regale e impassibile: “il Dio delle cattedrali, bianco e virile: un Re, Figlio di Re”, come lo definì negli anni trenta del secolo scorso un grande romanziere francese, Pierre Drieu La Rochelle. Ma dopo Francesco quel Dio è mutato, è divenuto soprattutto il Christus Patiens, che negli uomini vede figli certo ma anche e soprattutto fratelli, che conosce le loro sofferenze, che accetta di soffrire come e più di loro per loro amore.

 Per arrivare a quel Cristo, non c’era in fondo bisogno della Riforma protestante che l’attenzione dei fedeli sulle questioni del Libero Esame delle Scritture e del Libero Arbitrio. Si sarebbe dovuto procedere sulla via di Francesco, scoprire sempre di più il senso dello sconfinato amore di Dio per l’uomo: e alla luce di esso comprendere che la risposta dell’uomo non può non essere non solo l’amore sconfinato per Dio, ma anche quello per il prossimo come a se stesso. Perché il Cristo è Dio, ma il Prossimo è il Cristo per ciascuno di noi.

 Finché la cristianità è stata potente nel mondo, padrona dei regi e dei popoli, v’erano forse molti modi per essere cristiani: ogni volta che rileggo la “Fiaba del Grande Inquisitore” di Fiodor Dostoevskij torno a convincermi che anche quello del Grande Inquisitore era autentico cristianesimo. Ma a condizione che lo fosse all’interno di una società cristiana.

 Oggi esistono i cristiani, e magari sono tanti: ma non esiste più la Cristianità. Non esiste più una società nella quale lo stato, le leggi, la scienza, l’arte, la morale si conformino alla fede cristiana. Finché il fedele viveva in una società conforme ai suoi princìpi religiosi, poteva scegliere d’indirizzare la sua fede in molti sensi. Oggi non è più possibile: la via è divenuta stretta e le due rivoluzioni, quella di frate Francesco e quella di papa Francesco, convergono. Il cristiano si vede ridotto all’essenziale: se vuol essere quel che è, deve agire con dura determinazione. La lotta del cristiano passa per le periferie diseredate del mondo, passa per i gommoni sul Mediterraneo, passa per la desolazione dell’impoverimento dell’Africa e dell’America latina. La lotta del cristiano è quella contro tutto quel che papa Francesco ha definito “la cultura dell’indifferenza”. In questa lotta siamo tutti in prima fila: e non ci sono scuse, non ci sono diversivi che tengano.

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