cultura

Quando San Francesco detta lo stile

Redazione online
Pubblicato il 30-11--0001

Il volume del Reggente della Casa Pontifica - Questione di stile

Quando si parla di stile, viene in mente una critica letteraria, musicale o artistica per dire che in un testo, in una partitura, in una scultura si scorgono i caratteri di un’epoca, di una tradizione, di una scuola. Forse solo di rimbalzo il vocabolo “stile” rimanda a ciò che sembra mancare nel nostro tempo: la signorilità del  comportamento, la correttezza dell’agire e del conversare, la sobrietà dei modi.

Uno “charme” che appare sempre più raro, soppiantato dal “cafonal”, ossia dalla  sguaiataggine e dalla  volgarità. Si obietterà: ma l’abito non fa il monaco. Eppure sostiene lo scrittore GeorgesLouis Leclerc de Buffon di fronte all’Accademia di Francia nel 1752 che «lo stile è l’uomo stesso». E il filosofo tedesco Arthur Schopenhauer nota: «Lo stile è la fisionomia dello spirito». «Nei nostri comportamenti e nelle nostre azioni – scrive il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della cultura – noi riveliamo la nostra segreta identità.

Certo, non si può esaurire  il giudizio di una persona su questi elementi. Tuttavia è inevitabile che nello stile del nostro entrare in relazione con il mondo e con gli altri si ha un’epifania dell’io profondo». Insomma è una Questione di stile, proprio come si intitola il volume di padre Leonardo Sapienza (Editrice La Ricerca – Associazione minoranze creative, pagine 124). Un libro, sì, ma quasi un vademecum in cui il religioso rogazionista e reggente della Prefettura della Casa Pontificia, propone scritti personali, brani e citazioni d’autore, ma anche consigli pratici per aiutare a «ritrovare la dignità interiore» e a «preservare la dignità umana dalla stupidità, dalla falsità e dalla gretta artificiosità», sottolinea nell’introduzione.

Del resto, osserva Ernest Hemingway, Nobel della letteratura, «la giusta maniera di fare, lo stile, non è un  concetto vano. È semplicemente il modo di  fare ciò che deve essere fatto». Già, ma che cosa è lo stile? O meglio, come si può fare ad avere stile? Partiamo dalla buona educazione. Edmondo De Amici evidenzia nel suo (troppo) sbeffeggiato Cuore che «l’educazione di un popolo si giudica dal contegno ch’egli tiene per strada». Così va detto basta alla moda di mettere i piedi sui sedili, all’uso del telefonino quando si dialoga con amici o colleghi, all’abitudine di berciare ovunque come se si fosse allo stadio.

Il giornalista e scrittore Vittorio Buttafava consiglia di educare i figli spiegando loro di «svolgere bene» il  lavoro che si ha, di stare «alla larga dai posti di comando», ma anche di non mettersi in testa di «sgobbare per quattro». Comunque, constata lo scrittore tedesco Heinrich Böll, «anche nell’esercizio del più umile dei mestieri, lo stile è un fatto decisivo».

Facendo un ulteriore passo, si può ricordare quanto scrive il filosofo Friedrich Nietzsche: «Migliorare il proprio stile significa migliorare il proprio pensiero». C’è, poi, il linguaggio. «Parole giuste al posto giusto, questa è la vera definizione di stile», segnala il poeta irlandese Jonathan Swift. E il letterato Francesco De Sanctis rimarca che «la semplicità è la forma della vera eleganza». Allora, raccomanda il libro, torniamo allo stile. L’arcivescovo di Chieti-Vasto, Bruno Forte, offre qualche spunto: scegliere la «via della pazienza», guardare il mondo «come alla casa di tutti», amare «il bene comune più che l’interesse di una sola parte».
 

 

Ma si può seguire anche il richiamo alla gioia di san Francesco: «È una cosa strana servire Dio e avere un viso triste e malinconico». Oppure l’avvertenza di Confucio ad ammettere i propri errori: «Se sbagli, non avere paura a correggerti». O ancora l’indicazione di Abraham Lincoln a mostrarsi amici del prossimo. Perché «una goccia di miele cattura più mosche di un litro di aceto». (GIACOMO GAMBASSI - AVVENIRE)

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