Wikipedia, vent'anni di sapere 'fatto in casa'
L'enciclopedia online ha intercettato uno degli insopprimibili moti umani, la curiosità
Pare che sia esistito un mondo senza Wikipedia. Pare, perché Wikipedia è ormai talmente entrata nelle nostre vite quotidiane che non ci rendiamo più nemmeno conto della sua esistenza. La usiamo non solo quando effettuiamo ricerche dirette e consapevoli, ma anche ogni volta che facciamo una consultiamo Google, poiché sia il primo dei risultati, sia le schedine che appaiono in testa a ogni videata altro non sono che un estratto delle relative voci di Wikipedia – se esistono, di quelle in italiano, altrimenti tradotte automaticamente dalla versione inglese.
Pare allora che sia esistito un tempo in cui Wikipedia non c'era; un tempo in cui le ricerche su Internet erano macchinose, inaffidabili, e alla fin fine si faceva prima e meglio ad andare a consultare la cara vecchia enciclopedia di carta, magari nel comodo formato delle Garzantine che hanno spopolato fino a un istante prima dell'avvento della Rete. Quel tempo ha iniziato a finire il 15 gennaio di vent'anni fa, quando Jimbo Wales e Larry Sanger avviarono il progetto che avrebbe trasformato la ricerca di informazioni nel momento esatto in cui il mondo passava definitivamente dall'analogico al digitale. Oggi le voci della grande enciclopedia online a collaborazione aperta si contano a milioni, le lingue in cui è disponibile (a vari livelli di estensione e di profondità) a centinaia; quanto ai collaboratori che la scrivono, la correggono, l'aggiornano, è quasi impossibile tenerne il conto, da chi ne ha fatto una ragione di vita a chi si limita a fare una precisazione una volta sola.
Eppure, come spesso accade con gli strumenti legati alla nuova civiltà digitale nella quale ci stiamo addentrando a tentoni, spesso non conosciamo affatto lo strumento che stiamo utilizzando. Capita ancora di leggere sui giornali o su qualche pagina social commenti ironici o irritati su questo o quell'errore presente in Wikipedia: che di errori ce ne siano, e tanti, è ovvio, ma puntare il dito su questi dimostra solo che non se ne conosce il funzionamento. Che in fondo è semplicissimo: ogni voce è una pagina, per lo più di testo, e chiunque, senza nemmeno bisogno di registrarsi al sito, può modificarla. E la modifica, salvo rare eccezioni per voci particolarmente “calde” (i casi tipici sono lo sport e la politica), è immediatamente pubblicata.
Non esiste alcun controllo a priori: quello che avviene è tutto a posteriori, ed è opera degli stessi volontari che si prendono cura della creazione e della manutenzione delle voci. Le vere regole sono poche, cinque appena (definite “pilastri”, sancite dai fondatori e non modificabili); tutto il resto – convenzioni, scelte editoriali, grafica – è discusso e deciso dai collaboratori più assidui. E ogni versione linguistica (Wikipedia si organizza per lingue, non per Stati) fa a modo suo, anche se alla fine il risultato è abbastanza omogeneo, almeno tra le grandi edizioni come quella inglese, tedesca, italiana, francese o spagnola, perché omogeneo è lo spirito che le anima.
Wikipedia ha saputo intercettare uno degli insopprimibili moti umani, la curiosità, e incanalarlo in un'architettura perfettamente coerente con il tempo in cui è nata; ha portato alla luce quella miniera di passione e di competenza, reale anche se non professionale, nascosta in tanti, e l'ha resa condivisibile. Molti collaboratori – tutti gratis – dell'enciclopedia definiscono la loro opera “volontariato culturale”: è una bella definizione, calzante nonostante il fatto che gran parte delle voci sia dedicata a calciatori o personaggi dei cartoni animati. È giusto che ci sia anche quello, in fondo, perché come ogni enciclopedia anche Wikipedia è specchio del suo tempo: in ogni pagina di Diderot e D'Alembert si respira illuminismo, in ogni pagina della Treccani si registra la tensione tra fascismo e antifascismo, e in ogni schermata di Wikipedia si rispecchia la nostra alba di secolo, con le sue storture e le sue virtù.
Le concessioni al politicamente corretto non si contano, la ricerca – lodevole – della neutralità a volte finisce nella collazione dei punti di vista più eterogenei, a volte con l'ipertrofia di quelli magari minoritari ma al momento più in voga: ce ne si può lamentare, più utile sarebbe cliccare su quella linguetta “modifica” presente in ogni pagina e collaborare costruttivamente, dopo aver imparato le semplici ma rigorose regole del gioco. Perché Wikipedia è anche questo, un gioco, individuale e di società allo stesso tempo: lo dimostrano le divertenti ma assai avventurose versioni dialettali, e perfino quelle in lingue inventate.
Un gioco che ha saputo sopravvivere al proprio successo, anche se deve costantemente difendersi dai tentativi di inserimento di materiale promozionale da parte di aziende, partiti politici o singole persone, ma che adesso sta iniziando a fare i conti con una nuova evoluzione dell'ambiente nel quale si muove. Il mondo digitale (che non è un mondo altro rispetto a quello cosiddetto “reale”) evolve verso i sistemi automatizzati capaci di elaborare velocemente grandi masse di informazioni (i “big data”) e di elaborarle in modo anche raffinato, determinando operazioni che assomigliano per diversi aspetti alle decisioni prese dalla volontà umana (l'“intelligenza artificiale”). Calata su Wikipedia, questa tendenza – o questa tentazione? – si concretizza nel trasferimento di informazioni dalle pagine dell'enciclopedia, che tutti possono vedere e modificare, a una sorta di collettore di dati (Wikidata).
Si riduce così la parte di voci materialmente scritta dai collaboratori volontari, sostituendola con informazioni importate automaticamente da Wikidata e trasformate in forma testuale. Per ora il sistema tocca solo qualche elemento strettamente codificato (l'altezza di uno sportivo, le coordinate geografiche di una città), ma l'espansione è in atto. Con il rischio che a breve anche Wikipedia venga inglobata nella grande mente artificiale, perdendo quella varietà e ricchezza e anche, perché no, quella passione spinta fino alla litigiosità delle tante persone in carne e ossa che in questi anni l'hanno costruita, e che continuano a farlo ogni giorno. (Avvenire)
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