Una vita per costruire dignità e speranza. Scopri chi è Don Luigi Ciotti
È il noi che vince, il cambiamento non è opera di navigatori solitari
“Il mio compenso: provo gioia nella consapevolezza dei miei limiti e spendere la mia vita nel dignità e speranza”, in questa frase potrebbe semplificarsi la vita di don Luigi Ciotti. Chi, non conosce il famoso sacerdote che da tempo – grazie all’Associazione Libera, di cui è il Presidente – spende la propria vita per dare speranza agli emarginati, agli “ultimi” di cui parla il Vangelo stesso, senza compromessi, senza troppe “mezze misure”? E così è anche don Luigi Ciotti, un uomo, un sacerdote, senza “mezze misure”.
Il suo viso è noto, e più volte la sua voce ha gridato, forte, davanti a una telecamera. Un “neo Giovanni, voce nel deserto”, potremmo quasi parafrasare. Ma facciamo un attimo il “punto” della sua biografia.
Nasce il 10 settembre 1945 a Pieve di Cadore (BL), don Luigi Ciotti per poi emigrare con la famiglia a Torino nel 1950. La Torino industriale, la Torino della famiglia Agnelli, la Torino capitale dell’Economia italiana.
Nel 1966 promuove un gruppo di impegno giovanile, che prenderà in seguito il nome di Gruppo Abele, Associazione di volontariato, e cominciano così gli interventi su numerose realtà segnate dall’emarginazione. Fra le sue prime attività, un progetto educativo negli istituti di pena minorili e la nascita di alcune comunità per adolescenti alternative al carcere.
Terminati gli studi presso il seminario di Rivoli (TO), Ciotti nel 1972 viene ordinato sacerdote dal cardinale Michele Pellegrino. Apre un Centro di accoglienza e ascolto e, nel 1974, la prima comunità. Sono gli anni di “Centro Droga” di Via Verdi, un luogo di accoglienza e ascolto per giovani con problemi di tossicodipendenza. Fu un'esperienza allora unica in Italia, a cui seguì l'apertura di alcune comunità.
Comincia, da allora, anche lo sviluppo internazionale della sua attività, della sua missione. È invitato in vari Paesi (Gran Bretagna, USA, Giappone, Svizzera, Spagna, Grecia, ex Jugoslavia) per tenere relazioni e condurre seminari sul tema ed è chiamato per audizioni presso il Parlamento europeo.
Nei primi anni Ottanta segue un progetto promosso dall’Unione internazionale per l’infanzia in Vietnam.
Nel 1982, contribuisce alla costituzione del Coordinamento nazionale delle comunità di accoglienza (CNCA). Sarà alla sua presidenza per dieci anni.
Nel 1986 partecipa alla fondazione della Lega italiana per la lotta all’AIDS (LILA), nata per difendere i diritti delle persone sieropositive, di cui è il primo presidente.
Poi la Storia d’Italia percorre il delicato momento in cui la mafia vuole reagire alle due più importanti – e “scomode” – figure della magistratura: Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Sappiamo bene come purtroppo è andata. In questa pagina “nera” della Storia italiana, don Ciotti vuole accendere una luce, una speranza e così intensifica l’opera di denuncia e di contrasto al potere mafioso dando vita al periodico mensile "Narcomafie". A coronamento di questo impegno, nasce nel 1995 "Libera-Associazioni, nomi e numeri contro le mafie", un network che coordina oltre 700 associazioni e gruppi sia locali che nazionali.
Nel documentario “Così in terra” di Paolo Santolini, andato in onda nel giugno scorso su Rai Tre, sull’attività, sulla vita di Don Ciotti, troviamo una “scheggia” di verità che dovrebbe farci riflettere: “È il noi che vince, il cambiamento non è opera di navigatori solitari”. Fa un effetto strano, non si può nascondere, quel “navigatori solitari”, proprio oggi che i mari sono solcati da navi della speranza. Quel “noi che vince” forse – anzi, non forse – rimane l’unica via percorribile per creare ponti di umanità, tra una terra e l’altra. Quell’umanità che ultimamente è davvero “fuori moda”…ma che, oggi, si cercherà di indossarla, in quella maglietta color rosso.
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