QUANDO DARIO FO DISSE: SAN FRANCESCO, IL SANTO DEI CARCERATI
Ma questa storia non capita quasi mai di ascoltarla, perché non va bene raccontare il Santo d'Italia come uno che si ribellava agli oppressori. Io credo che dovrebbe essere anche il santo dei carcerati
Se sei sempre stato libero, il bisogno di esserlo non lo capisci. Poi ti capita di entrare qui, in un posto che credevi di conoscere perché è un nome entrato nell'immaginario collettivo come se fosse solo un simbolo e non un carcere: davanti a sbarre per nulla ideali, la libertà si trasforma in un sospiro di sollievo.
San Vittore è sporco di nebbia, di tempo sgretolato sopra i muri e dolore passato dentro le celle. In un "istituto di pena" il sentimento di umanità mandano in cortocircuito le certezze. A ogni cancello che attraversi e a ogni porta che si chiude dietro: sì, si vede ogni tanto in televisione, ma passare di lì con i propri piedi non è guardare, è vivere. Di colpo "dentro" e "fuori" smettono di essere gli avverbi di un appuntamento davanti al cinema, ma sono un'inevitabile condizione dell'essere. Oggi qui è una piccola festa, anzi una doppia festa.
DARIO FO è venuto in visita, ed già è un avvenimento da segnare sul calendario. Ma c'è un altro motivo di gioia: la Corte di Strasburgo ha condannato l'Italia per violazione dei diritti umani nelle carceri di Busto Arsizio e Piacenza. "Trattamento inumano e degradante", dicono i giudici. Per questo lo Stato risarcirà i detenuti.
Improvvisamente non sono più le loro prigioni, ma le nostre. Di un paese che assiste, pressoché muto, e che consente. La processione che accompagna il premio Nobel, invitato dal Progetto liberazione nella prigione ( attraversa i "raggi" assieme alle guardie. I detenuti aspettano il maestro in piedi, dritti davanti alle loro sedie. Nemmeno comincia il discorso, che lo acclamano già. Loro parlano soprattutto per applausi: ce ne saranno molti nel corso di questo incontro, scandito anche da un saluto dell'assessore alla cultura del Comune di Milano, Stefano Boeri, e di Gloria Manzelli, prima direttrice donna della Casa circondariale.
Dario Fo ha portato in dono alcuni suoi disegni. Uno lo illustra per bene, perché è una sorta di contro-storia di Francesco, prima che fosse santo. "Francesco adolescente fu fatto prigioniero dopo una sommossa e messo in carcere. Vi lascio immaginare cosa fossero allora, nel Medio Evo, le carceri. Poco più che fosse dove le persone venivano abbandonate e nutrite da quei pochi che, con un po' di buon cuore, ogni tanto si ricordavano di lanciare loro qualcosa da mangiare. Dopo un anno di questo trattamento Francesco fu liberato, grazie al padre. Ma questa storia non capita quasi mai di ascoltarla, perché non va bene raccontare il Santo d'Italia come uno che si ribellava agli oppressori. Io credo che dovrebbe essere anche il santo dei carcerati".
INTANTO l'uditorio di uomini, giovani e meno, ascolta trepidante: qualcuno protesta perché il microfono in fondo alla sala arriva poco. Poi Fo chiede alla platea di intervenire: "Ditemi cosa posso fare per voi, quale messaggio volete che io porti quando uscirò". Qui bisogna che qualcuno raccolga il coraggio e attraversi il piccolo corridoio per portare la voce di tutti. Si fa avanti Gaspare, tuta blu e scarpe da ginnastica, l'abbigliamento più comune in sala: è quello che di solito s'indossa a casa. "Bè, intanto deve venirci a trovare ancora: non ci capita tutti i giorni di sentir parlare un premio Nobel". Prima di fare la sua domanda, Gaspare ha una cosa da dire: vuole ringraziare i medici e il personale del reparto la Nave, che si occupa dei detenuti tossicodipendenti. "Perché prima di essere detenuti, sono trattati come persone e come malati.
Non succede in tutti i penitenziari". Poi esorta Dario Fo a raccontare qualcosa della sua vita, magari di quel viaggio negli Usa che non era gradito al governo americano. Per spiegarlo, il premio Nobel racconta: "Allora la gente di sinistra rompeva molto le scatole, mica come oggi. E come ce ne sarebbe bisogno, ora, di persone che rompono un po' le scatole!". I ricordi volano subito ai tempi di Soccorso rosso: "Negli anni 70 ho visitato molte carceri, con mia moglie, quando sostenevamo Soccorso rosso, forse ne avete sentito parlare. Di questa battaglia, per i diritti dei detenuti, io e Franca siamo orgogliosi. Oggi è una festa, perché questa condanna di Strasburgo mette lo Stato di fronte a una verità. Non so quale governo uscirà dalle elezioni, spero che sarà in grado di affrontare questo problema e che provi a cercare delle soluzioni". E allora esplode il grazie, in coro, dei detenuti. Prima del congedo, è il momento di Zac: si avvicina e legge una poesia. "Oggi sono qui a combattere tra il bene e il male". Ed è così difficile distinguerli. Dario Fo è sommerso dal suono delle mani che battono la gratitudine e saluta così: "Verrò presto. E spero tanto che molti di voi, per allora, saranno fuori. Le cose negative si trasformano in positive, certe volte. Anche se il sistema delle carceri italiane poco ha a che vedere con la riabilitazione e la rieducazione, spero che da questo dolore che state provando ora, rinchiusi qui, troviate la forza di fare, da uomini liberi, delle cose straordinarie".(Il Fatto Quotidiano 5 luglio 2014)
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