Lo chef contro il pizzo e il sogno della serenità
Natale Giunta: 'Ho sfidato la mafia e rimango in Sicilia'
Ha un' ambizione, anzi lo chiama sogno: «La serenità. Non desidero altro che questo, qui, nella mia isola e per la mia isola». Il palermitano Natale Giunta ha 41 anni e ha già vissuto, come dice lui, due vite. Una da chef estroso e di successo, anche in tv. L' altra da imprenditore che non si è voluto piegare al pizzo e ai clan. Le due vite si sono incrociate il 3 marzo 2012. La mafia si è presentata come in un film: un uomo con la coppola, le promesse di protezione, una somma di denaro per non avere problemi. Giunta non ha esitato, il giorno dopo era dai carabinieri. Aveva messo in conto la paura. Non immaginava quanto sarebbe stata dura, anche e soprattutto dopo l' arresto dei suoi estorsori. «Sono stati anni terribili, entri in un tunnel e non sai mai qual è la via d' uscita. Sono finito sotto scorta, ho perso amici e lavoro. Qualche dipendente se ne è andato, qualche amico è sparito. In un locale vicino a Palermo sono passato da cento matrimoni a uno, dicevano che ero "Natale lo sbirro"».
È una storia di sofferenze ma anche di riscatto, coraggio e forza di rialzarsi quella che Giunta adesso racconta nel libro Io non ci sto (Rai Libri). Nonostante le avversità, la mafia e, nell' ultimo anno, anche la pandemia. «Ho puntato sul delivery. Quando vedo un problema lo affronto, schiena dritta e testa alta». La passione per la cucina l' ha ereditata da zia Paolina e zia Antonia. Quei pranzi in famiglia dove «ogni pasto era un inno all' amore». Gli studi all' istituto alberghiero, a 16 anni a Chioggia in una scuola di alta cucina, a 18 a Milano nella brigata di Stefano Mei, il ritorno a Termini Imerese («Sono siciliano, volevo investire a casa mia»), dieci cambiali per rilevare il primo ristorante. Giunta ci sa fare, osa, accoppia il pesce al formaggio, ha spirito imprenditoriale, il successo è veloce, coronato dalla presenza alla Prova del cuoco su Rai 1. Tutto messo in discussione in un pomeriggio, solo per aver avuto fortuna nel posto sbagliato: «Se non avessi seminato nulla, se non mi fossi impegnato, probabilmente nessuno sarebbe venuto da me a chiedermi il pizzo. Il coraggio e quel pizzico di follia mi avevano portato a non rinunciare ai miei sogni. Non volevo che tutto finisse».
Non ci sta, e inizia la rappresaglia. Il cane ucciso facendogli ingoiare pezzi di vetro, il camion incendiato, il locale messo a soqquadro un paio di volte, i messaggi sull' auto. L' arresto di boss e picciotti, il processo e la condanna non segnano la fine dell' incubo. «La giustizia stava trionfando, ma per me erano iniziati i problemi, quelli veri». Gli fanno terra bruciata intorno, lavora sempre meno. Gli amici lo invitano a lasciare la Sicilia. Lui risponde: «Io non scappo». Riflette con amarezza adesso: «Gli altri che hanno denunciato hanno dovuto cambiare mestiere». Giunta però non vuole abbandonare la sua terra e il suo lavoro, perché per lui il cibo è qualcosa di più che un piatto da cucinare, è come la sua melanzanina farcita con caciocavallo in crosta di pane al nero di seppia, c' è il respiro della Sicilia, il bisogno di innovare. Ha studiato all' Accademia delle Belle Arti di Agrigento, dice che «il massimo è unire il gusto del buono al gusto del bello», che «il dolce è come un dipinto, come una scultura: ci vogliono amore, esattezza, gusto e creatività». Non ha più la scorta, ha fatto ricorso, gliel' hanno ridata e poi ritolta, alla fine ha rinunciato: «Ho lottato contro la mafia, non potevo lottare contro lo Stato. Io non ho paura, però ho un soprassalto ogni volta che una moto accelera in strada». Adesso ha un ristorante a Palermo e uno a Roma, e la società di catering. Spera di far tornare presto a lavorare tutti i 40 dipendenti che aveva prima del Covid. E poi c' è quel «sogno nel cassetto», semplice eppure complicato: «Trovare un po' di serenità». (Corriere della Sera)
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