cronaca

La statua di San Francesco che sembra parlare

Simona Ghezzi www.artatsite.com
Pubblicato il 19-04-2021

A Londra c’è Peter Pan, a Milano Pinocchio. La prima statua sonnecchia ai Kensington Gardens, la seconda respira a fatica — la colpa è del cantiere infinito della linea 4 —, nei giardini di corso Indipendenza. Peter Pan suona il flauto ed è contornato da topini e scoiattoli, il bambino e il burattino di bronzo (ci sono entrambi) sono in compagnia del gatto e della volpe. Il monumento a Pinocchio fu inaugurato nel ’56, la città ne fu entusiasta, il personaggio risultava più realistico (e più bello) di quello realizzato per il paese di Collodi. Sospira Antonello Negri, già docente di Storia dell’Arte Contemporanea all’Università degli Studi (in pensione dal 2017), nel raccontare i risvolti della storia. Inutile girarci intorno: Pinocchio è lì per via di suo nonno. Un merito che al prof sta stretto, «fosse un Lucio Fontana, un Arnaldo Pomodoro, o almeno un soggetto differente», dice. Ma il nonno Antonio Negri, poeta dilettante (componeva in milanese, un busto che lo ritrae è conservato alla Famiglia Meneghina), amava quella fiaba e si fece promotore, insieme alla Famiglia Artistica Milanese, di una fontana-monumento. «Fu commissionata allo scultore Attilio Fagioli e poi donata alla città. Dalle carte che ho ritrovato, sembra l’abbia pagata tutta lui». 

Un centinaio di metri più avanti c’è piazza Risorgimento, con il grande monumento a San Francesco d’Assisi di Domenico Trentacoste. La statua in bronzo, in atteggiamento benedicente, appare solitaria. «Troppo in alto», commenta Negri, «fra basamento e colonna saranno quindici metri: Francesco è proiettato lassù, visibile anche da lontano ma di fatto lontano da tutti. Risulta un santo completamente opposto all’agiografia nota, inarrivabile, quasi gerarchico». Il monumento è del 1926 e celebra il settimo centenario della morte del poverello di Assisi. Lo scultore non chiese un compenso, aveva esposto alla Biennale di Venezia e all’Esposizione Internazionale di Firenze, era famoso e chiamato ovunque, il costo dei materiali venne coperto con una colletta promossa dalla Curia porta a porta. «Stile nazionalista, denso di retorica. Del resto Mussolini aveva appena dichiarato Francesco il più italiano dei santi. Perfino negli altorilievi del basamento la vita del santo è cavalcata con enfasi, nella scena sul ricevimento delle stimmate c’è un angelo a sei ali, degno di un fantasy horror», ironizza il prof. Che aggiunge: «L’aspetto di Francesco più coinvolgente, quello della sua umanità, viene a mancare del tutto».

Per fortuna a Milano c’è un altro bronzo del santo, in piazza Sant’Angelo. Il periodo è lo stesso, anno 1927, lo scultore è Giannino Castiglioni. «Una statua ad altezza uomo, se ti avvicini quasi ti sembra di parlargli», fa notare Negri. «Castiglioni era anche medaglista, un artista preciso, attento alla qualità. La sua opera è in sintonia con il nuovo gusto milanese, più semplice, meno ufficiale. Da una parte della vasca c’è il santo, che ha il volto del figlio Pier Giacomo, il designer, dall’altra un gruppo di colombi. È l’iconografia più classica e meglio riuscita». (Corriere della Sera)

 

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