La relazione è parte della medicina
Il colloquio della Rivista San Francesco con Alberto Villani
Il momento storico che stiamo attraversando segnerà la nostra storia, tanto collettiva quanto personale, con un lungo strascico di sofferenze e lutti. Guardare in faccia la malattia non è cosa semplice, serve coraggio e forse anche un po’ di incoscienza: due qualità che spesso convivono, ormai, solamente nei più giovani. Abbiamo raggiunto telefonicamente il dottor Alberto Villani, direttore del Dipartimento Emergenza, Accettazione e Pediatria Generale dell’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma, presidente della Società Italiana di Pediatria e componente del CTS, per farci raccontare la sua esperienza.
Come ci si sente quando i pazienti sono bambini e adolescenti, che hanno ancora un futuro da costruire?
Essere pediatra implica necessariamente una vocazione: è impossibile svolgere questa professione se non si ha la predisposizione ad avere cura degli altri, che è il fondamento dell’essere medico. In pediatria questo ha una valenza ancora maggiore perché bambini e adolescenti aggiungono un ulteriore fattore di debolezza e criticità a sofferenza e fragilità.
Dottore, lei ha usato un’espressione, cura dell’altro, che rimanda al messaggio del Papa per la Giornata Mondiale della Pace di questo 2021, in cui si declina la cultura della cura. Come possiamo educare alla cura dell’altro?
Mi piacerebbe rispondere a questa domanda da presidente della Società Italiana di Pediatria perché da molto tempo mi sto battendo per far introdurre l’educazione sanitaria e civica nelle scuole, dalla materna alle superiori. È fondamentale la conoscenza: solo se si conosce e si sa si può comprendere appieno il valore delle cose. Ragionando anche in termini di economia sanitaria, prendersi cura dell’altro significa risparmiare. Se assistiamo al meglio i bambini molto verosimilmente arriveranno all’età adulta in condizioni migliori. Un esempio: se combattiamo l’obesità e tutte le patologie che derivano da comportamenti “non virtuosi”, ci mettiamo in condizioni di non dover impiegare risorse ed energie per delle conseguenze che una cura evolutiva adeguata avrebbe necessariamente evitato. Lo stesso vale per l’assistenza e la cura prima del concepimento per coloro che saranno genitori. È scientificamente provato che io sono responsabile di quella che sarà la salute dei miei nipoti, quindi aver cura della salute di se stessi significa favorire il bene di tutti.
Tornando al suo lavoro di pediatra all’interno del Bambin Gesù. I ragazzi come affrontano la difficoltà della malattia?
Ci sono due situazioni differenti: le patologie critiche acute che hanno una durata limitata nel tempo, ma che comunque rappresentano un confronto impegnativo per i bambini, dal punto di vista psicologico e del vissuto. Adolescenti e bambini sanno affrontare meglio degli adulti questi momenti di difficoltà. Un altro discorso va riservato alle patologie croniche. La dignità e l’esempio che forniscono i piccoli malati colpisce ogni giorno. I bambini hanno il valore aggiunto della fiducia nell’altro che li aiuta molto. La fiducia nei confronti dell’adulto di riferimento gioca un ruolo non da poco e questo è in gran parte compito nostro: saper trasmettere ai ragazzi la forza e la voglia di combattere e essere in grado di apprezzare il bello della vita, indipendentemente da quelle che sono le situazioni contingenti di difficoltà.
Quindi dottore ci sta dicendo che oltre all’assistenza medica, l’altra “medicina” importante è la fiducia…
Esattamente. Oltre alla fiducia aggiungerei anche il tempo e mi torna in mente un episodio. La situazione era abbastanza drammatica, si trattava di una seconda diagnosi di neoplasia infantile in famiglia. Nel momento diagnostico ho portato fuori il padre a prendere un caffè, davanti ad una finestra che apre su un panorama di Roma da togliere il respiro. In una lettera di ringraziamento che questo ha scritto al reparto di oncologia, un ampio spazio era dedicato a questo apparentemente banale episodio, in cui l’uomo manifestava la riconoscenza per l’attenzione umana. Non dobbiamo mai dimenticare che piccoli gesti possono fare una grande differenza. Avere attenzione, dedicare tempo e ascolto è la “cura”. In termini medici sappiamo benissimo cosa fare, come agire e quali innovazioni applicare, ma quello che fa veramente la differenza è l’ascolto e l’attenzione; dovremmo dedicare più tempo a questi aspetti. Oggi tutto scorre molto, troppo, velocemente e il tempo viene visto come un elemento limitativo e non un aiuto concreto. Se dedichiamo del tempo al paziente, al bambino, alla famiglia sono tutti molto più sereni; è più facile per loro accettare anche il percorso lungo e difficoltoso che gli si apre davanti. Per riassumere: fiducia, tempo e amorevole cura.
Da membro del CTS: questa pandemia come sta agendo su giovani e adolescenti?
Sembrerà paradossale ciò che sto per dire. Innegabilmente ci sono tantissimi risvolti negativi, la pandemia ha provocato dolore e lutto in tutto il mondo, ma dobbiamo anche cogliere da questa tragedia l'opportunità che ci viene data per rivedere la gerarchia dei valori; la limitazione alla vita di un adolescente non può essere il fatto che non prenda l’aperitivo o che non possa avere delle manifestazioni di aggregazione. Il virus non ha fatto altro che smascherare criticità che erano già presenti nella nostra società. Abbiamo una scuola che, nella gran parte, ha un’edilizia antecedente la nascita della Repubblica; il rapporto insegnanti-allievi è il più vergognoso in Europa -1 a 27. Abbiamo poi delle carenze nelle nostre scuole: non viene dato spazio adeguato, se non in rari e privilegiati casi, all’attività sportiva, all’educazione al bello, all’arte, alla musica… è una scuola che non consente di limitare differenze e disparità, anzi le accresce. I miei figli hanno avuto modo di fare sport, di imparare uno strumento musicale, di visitare mostre e musei perché noi genitori abbiamo potuto favorirlo, permetterlo; i bambini che ne avrebbero più bisogno non trovano questo sfogo. Quanto sarebbe bella una scuola a tempo pieno! Come Società di Pediatria ci stiamo impegnando per una scuola in cui la mattina si svolge attività didattica, poi gli studenti partecipano alla scelta e alla preparazione del pasto e mangiano insieme. Il pomeriggio verrebbe dedicato allo sport, alla pratica della musica, dell’arte; alle visite a chiese e musei. Con questo tipo di scuola ci sarebbero molte meno nocività: droga, fumo, alcol, obesità… ne sono convinto! Se invece i ragazzi vengono mantenuti in contesti che favoriscono l’insorgenza di queste nocività, di cosa vogliamo parlare? Lo stesso discorso vale per la sanità. I tagli trasversali senza alcun criterio hanno indebolito quello che era uno dei migliori sistemi sanitari e vorrei fare un esempio: se compriamo dieci respiratori non abbiamo risolto il problema. Equivale a comprare dieci aerei avendo solo tre piloti... sette aerei resterebbero comunque a terra. Altro nodo sono le RSA: la tragedia che le ha colpite evidenzia come la nostra società trascuri le proprie estremità: i bambini e gli anziani. Per certi versi dobbiamo “ringraziare” il Coronavirus per aver evidenziato tutta una serie di limitazioni, storture della nostra società, e le ha gridate, se le vogliamo ascoltare. Temo però che dopo questa terribile esperienza tutto tornerà come prima. Prendiamo la riduzione di posti nei ristoranti e le polemiche che ha creato: tavoli ammassati, con il vicino di sedia che praticamente ti mangia in testa, perché è tutto regolato dal profitto, senza pensare all’accoglienza. Mi viene da dire: quale principio deve guidare la nostra società? Quali sono i valori gerarchicamente vincolanti? La sensibilità verso il prossimo o il profitto?
Nonostante ciò che viene detto non dovremmo ritornare alla normalità di prima…
Mi auguro di non tornare a quella normalità. Che un ragazzo di sedici anni vada in giro fino, se non oltre, la mezzanotte non è salutare; educare alla salute significa anche che i giovani devono capire che il corpo ha necessità di un determinato numero di ore di sonno. L’aperitivo è nocivo anche dal punto di vista nutrizionale. Per stare bene bisogna seguire la dieta mediterranea. Se facciamo riferimento a questo tipo di normalità, come lo è stato questa estate per cui normalità significava poter stare affollati in una discoteca, mi auguro che non ci si torni. Spero che questa esperienza ci insegni ad aver cura della scuola, della salute, di tutte le cose belle che abbiamo e che vengono limitate dal comportamento di pochi. Possiamo prendere ogni tipo di provvedimento, ma senza l’educazione civica e sanitaria non si otterrà nessun risultato. L’unico vero grande investimento che dovrebbe essere promosso è investire nella scuola, nell’istruzione. Si continua a procedere alla sensibilizzazione alla vaccinazione, all'igiene, all’uso della mascherina che con una popolazione adeguatamente preparata dall’istruzione si sarebbe fatto con più facilità. La scuola è il vertice della gerarchia di valori di cui si è parlato poco fa, è l’unico ambito in cui si può evitare che ci siano disparità. Ci sono molto giovani per i quali l’unico pasto caldo è quello consumato alla mensa scolastica. La rappresentazione più drammatica della società in cui viviamo è il calo progressivo della natalità, perché manca la cultura alla genitorialità, all’importanza dell’infanzia dei bambini e non c’è nessuna politica concreta in questa direzione. Il Coronavirus dovrebbe stimolarci a fare una riflessione su tutto ciò.
Vorremmo chiudere questa intervista dandole tre parole da mescolare assieme: Francesco, i giovani, la malattia.
Francesco è il santo che ha dato uno splendido esempio di come si possa essere giovani. Ha dimostrato di avere chiari dei valori fondamentali: l’amore per l’altro, per l’ambiente e per tutti gli esseri viventi. Pur provenendo da una situazione di benessere e di agio economico ha scelto l’agio dello spirito.
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