cronaca

La lezione degli invisibili sui vaccini

Giacomo Gambassi Epa - Rungroj Yongrit
Pubblicato il 28-09-2021

Perché tra voi c'è chi non li vuole?

«Thank you so much, sir». Saluta con la mano alzata D. mentre sale in bicicletta. Il suo ringraziamento va a chi lo ha appena vaccinato. Sulle spalle ha una delle borse termiche per consegnare il cibo fra le case della "Milano bene". Nella notte della stazione di Porta Garibaldi i suoi occhi scuri, appena sopra la mascherina, sono illuminati dai bagliori di un maxi-schermo che annuncia la Settimana della moda. Non sa una parola d'italiano anche se «sono due anni che vivo qui», racconta in un inglese stentato. Parla solo la lingua della sua terra d'origine: il Pakistan. Come i suoi due amici che hanno dai 20 ai 25 anni e che si allontanano assieme a lui: rider anche loro. Tutti e tre appena vaccinati. Per strada. O meglio nell'ambulatorio mobile del Cisom, il Corpo italiano di soccorso dell'Ordine di Malta.

Da agosto, una volta alla settimana, un équipe di sei volontari che sulle divise hanno la croce a otto punte, richiamo alle Beatitudini narrate dai Vangeli, porta il vaccino anti-Covid agli invisibili della metropoli a poche decine di metri dai binari ferroviari. «Il Papa ha più volte chiesto che la profilassi debba essere davvero per tutti Potevamo lasciare indietro i nostri "amici" che magari non hanno la tessera sanitaria e quindi verrebbero messi ancora di più ai margini?», dice il responsabile lombardo del Cisom, Carlo Settembrini, di professione avvocato. Come appunto il fattorino pachistano. «Non ho il codice fiscale, solo il passaporto - confida -. Avrei voluto vaccinarmi prima, ma era impossibile ». Una pausa. «Non capisco proprio perché una parte di voi non vuole il vacci- no. È un modo per proteggere se stessi e gli altri». Il dottor Luca Rota, che gli ha appena firmato il certificato verde, sorride: «Ecco la lezione di quelli che chiamiamo gli ultimi o i senza fissa dimora». Medico di frontiera, ha al suo fianco un collega e un soccorritore. Tutti volontari. Un team che vaccina, visita, prescrive farmaci.

«È una fake news sostenere che chi vive per strada o in condizioni di disagio non è attento alla propria salute», spiega. Esce sulla scaletta del mezzo. Sono le nove di sera. Alle spalle la targa "piazza Freud". Intorno una piccola folla: almeno in trenta vorrebbero l'attesa iniezione. Fantasmi, per il sistema sanitario. «Stavolta abbiamo solo dodici dosi », annuncia Sara Prometti, "capogruppo", come si legge nella casacca, che guida la delegazione ambrosiana del Corpo di soccorso. Lavora in uno studio notarile ma è «figlia d'arte», dice di se stessa: suo padre è stato ventidue anni in Africa come missionario laico. Per lei, adesso, il luogo di missione è l'"altra Milano", quella degli esclusi. Alcuni di loro sono già in lista per immunizzarsi. La maggioranza no. «Qui c'è la corsa al vaccino», scherza Nicolò Cavalchini, un nome che appare sui cartelloni dei locali musicali della città. Cantautore, secondo la carta d'identità. E artefice del tormentone Vorrei mangiar la nutella. Ma anche sentinella dei poveri per «toccare con mano tutto l'umano», chiarisce. Tocca a lui offrire un tè caldo a chi si presenta e soprattutto prendere i nomi dei "vaccinandi". Ci sono due donne dell'Est Europa che raccontano di vivere in un appartamento con tredici bambini. C'è un uomo italiano di mezza età che ha come rifugio una manciata di cartoni sul marciapiede. C'è il ragazzone arrivato dall'Africa che mostra un documento liso. «Parli inglese o italiano?», domanda Nicolò a un ventenne cinese.

Lui scuote la testa e tira fuori il cellulare per traduttore gli ideogrammi. «Posso vaccinarmi? », compare sul display. «Come insegna Gesù - confida Nicolò - qui non ci sono gli ultimi. Tutti hanno le stesse opportunità». E con pazienza spiega che fra qualche giorno sarà il suo turno. La coda è sbilenca, ma nessuno ne approfitta. Sui volti di chi la forma i riflessi che arrivano dai grattacieli più alti d'Italia in piazza Gae Aulenti. La Milano del business e della movida; e la Milano dimenticata. «Ma noi siamo qui a testimoniare che non esistono due città, che siamo una sola comunità capace anche di essere accanto ai più fragili», osserva Sara. Non è un caso che la campagna "on the road" veda uniti il Comune e una rete di associazioni in collaborazione anche con la Regione. Il tam tam l'ha fatta conoscere ai nascosti. Ed è un successo inaspettato. «Voglio anch' io sedermi a un bar - dice ancora il rider pachistano -. Ma finora senza Green pass mi stato è vietato». La sua è la speranza di una vita al di fuori del ghetto dell'emarginazione, senza espedienti. «Ed è un po' di normalità quella che vogliamo portare: con il vaccino ma anche con il sorriso, l'ascolto. Non basta consegnare qualcosa. Serve stringere relazioni di fiducia», aggiunge Settembrini. E rivela un sogno. Lo sfondo è il «bosco di Rogoredo », come a Milano chiamano lo zoo della droga a sud del capoluogo dove il Cisom è in prima linea da oltre due anni. «Anche chi fa i conti con la tossicodipendenza deve avere la possibilità di vaccinarsi - conclude il referente regionale -. Siamo convinti che le istituzioni e le strutture sanitarie ci ascolteranno. Sarà una nuova luce in questo concentrato di disperazione che risucchia centinaia di giovani». (Avvenire)

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