Immigrazione, la strage dei rifugiati nel fiume Caledon
Si continua a morire alla frontiera tra Lesotho e Sudafrica
“Il Caledon è diventato un abisso che inghiotte durante la stagione delle piogge i miei connazionali. Tentano di raggiungere a nuoto il Sudafrica alla ricerca di pascoli verdi e di fortuna. Con la diffusione del Covid la situazione è andata peggiorando e i morti annegati sono in sensibile aumento”. Ci troviamo alla frontiera con il Lesotho, dove il fiume Caledon attraversa la capitale Maseru, e per un tratto, delimita il confine con il Sudafrica. La denuncia degli eventi drammatici che stanno coinvolgendo soprattutto i Basotho, la popolazione bantu meridionale stanziata nei due paesi, arriva da Suor Clementine Sekantsi, religiosa che presta servizio nell'ufficio Migranti e Rifugiati della Conferenza Episcopale del Sudafrica (SACBC) a Johannesburg.
Sale il numero di morti annegati
“Non abbiamo più notizie di tante persone che hanno cercato di attraversare la frontiera” spiega Suor Sekantsi, rivelando che i rapporti delle forze dell’ordine parlano di morti annegati: “L’ultimo risale al 3 gennaio scorso. La polizia ha recuperato 7 corpi, ma è chiaro che le cifre sono ben più alte”. A loro, racconta, viene chiesto una sorta di doppio passaporto: “Quello tradizionale, e l’altro cosiddetto Covid-19 che, in sostanza, certifica che non si ha il virus. Ma tutto questo è impossibile. Soprattutto per i più poveri”.
Blocco delle frontiere
Le tensioni alla frontiera non riguardano solo il Lesotho, ma anche lo Zimbabwe e il Mozambico. Si cerca di passare per tornare nei luoghi di lavoro o a casa dopo aver trascorso un periodo di vacanza con le famiglie nei loro paesi di origine. Altri tentano di fuggire da paesi al collasso economico o da aree dove la pandemia sta mietendo vittime. Chi è riuscito ad emigrare legalmente ha trascorso diversi giorni in coda prima di oltrepassare il confine, senza alcuna assistenza. La situazione si è ulteriormente aggravata all’indomani della decisione del governo sudafricano di chiudere le frontiere fino al 15 febbraio. “Questo costringerà a cercare vie illegali per fuggire. Non è un caso che gli arresti alla frontiera sono sensibilmente aumentati” continua la religiosa.
La preoccupazione e l'appello dei vescovi
Preoccupazione è stata espressa dall’Associazione dei Vescovi di Angola, Botswana, Eswatini, Lesotho, Mozambico, Namibia, Sud Africa, Sao Tome e Principe e Zimbabwe (Imbisa) che, attraverso una nota ufficiale, hanno denunciato la mancanza del rispetto delle norme igienico-sanitarie soprattutto nelle aree di confine: “Centinaia di persone senza mascherine, assembrate, disidratate ed affamate. Non possiamo rimanere passivi di fronte a questo scenario anche perché ognuno di loro lascia la propria terra per cercare protezione e un ambiente sicuro” hanno scritto. “Molti sono tornati indietro perché non avevano i documenti in regola, ma in questi casi dobbiamo comprendere, accogliere e aiutare”.
La persona al centro
I presuli hanno poi invitato le autorità a “sostenere i gruppi che intendono intraprendere un viaggio per attraversare il confine. Soprattutto in questo periodo di pandemia”. L’auspicio è quello della pronta riapertura delle frontiere al fine di assicurare il rientro dei lavoratori. Inoltre è necessario fornire mezzi di sostentamento a chi è in difficoltà: “Innanzitutto porre la persona al centro. Non è pensabile di superare la crisi sanitaria senza un’assistenza a misura d’uomo”. (Vatican News)
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