cronaca

Il lavoro che manca e la speranza francescana

Antonio Tarallo
Pubblicato il 03-07-2021

La creatività al servizio del bene comune

Donna povertà. La povertà non è un ideale astratto ma è una persona. Si è costretti a fare i conti con la povertà, oggi più di ieri. Ma chi sono i nuovi poveri? San Francesco diceva: “La santa povertà fa vergognare la cupidigia, l’avarizia e le preoccupazioni di questo mondo. La povertà è quella virtù celeste per la quale viene calpestato tutto ciò che è terreno e transitorio. Essa fa che l’anima, ancora pellegrina sulla terra, conversi con gli angeli nel cielo e nel momento della morte sciolta da ogni vincolo se ne vada a Cristo”. Ma se la povertà per San Francesco diventa una virtù per noi è davvero così? 

Concentriamo l'attenzione su una particolare categoria di nuovi “poveri”: i non occupati. Espressione alquanto inusuale. Apparentemente i non occupati di oggi sono giovani, laureati e non. Li vedi in giro per strada, vestono bene e hanno di che mangiare e dormire. Ma cosa gli manca, allora? Manca la dignità di un lavoro che li occupi, che gli dia il senso vero della vita. Insegnare, costruire, cucinare, servire, comunicare, difendere, coltivare: quanti mestieri si possono fare? I frati francescani - intorno al Trecento - girando per l’Italia, predicavano che l’elemosina serve a sopravvivere ma non a vivere, perché vivere significa produrre e l’elemosina non aiuta a produrre. Quindi, la loro missione era dare a tutti la possibilità di produrre. Dunque, di lavorare. 

Si chiama anche, se vogliamo,  “dare dignità all’uomo”. C’è un modo di dire che non è per niente lontano dalla realtà: il lavoro nobilita l’ uomo. Cosa vuol dire? Facile: lo rende “nobile” nell’ anima e nel corpo. Si sa, Francesco era  figlio di un importantissimo commerciante di stoffe, aveva lavorato nel negozio del padre, era stato introdotto già da subito nella logica commerciale e del produrre per accumulare ricchezza più denaro possibile. Ma quando cambia vita, spogliandosi di tutto, non rinuncia però al concetto del lavoro. Anzi, con le sue mani riesce a ricostruire chiese, come San Damiano. Si improvvisa - addirittura - muratore, architetto e coinvolge tutti nel creare, nel produrre. 

E’ la creatività francescana. Il giovane Francesco - così facendo - inizia a cambiare prospettiva del lavoro: non si lavora per cupidigia, per la sete del guadagno, per sentirsi qualcuno di importante, per accumulare ricchezze. Il lavoro è, certo, sostentamento proprio, ma diviene anche bene dei  e per i fratelli. Fa parte dell'attività creatrice di Dio e noi, siamo suoi collaboratori. Chi è in cerca di un lavoro chieda a San francesco di reinventarsi - la sociologia moderna la chiama resilienza - e di cambiare prospettiva. Un lavoro dignitoso per ognuno, per la costruzione del proprio “io”, ma così facendo è possibile - anche - diventare costruttori di speranza e di guadagno per gli altri. 

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