cronaca

Don Tommaso, il diacono in bicicletta

Toscana Oggi Facebook/don Tommaso Giani
Pubblicato il 12-10-2020

“Sto provando a dimostrare che è possibile attraversare la Penisola, trovando ogni giorno ospitalità da sconosciuti”

Potrebbe essere la scena iniziale di un film, una di quelle pellicole all’italiana che intridono per humor e garbo: è agosto, caldo da dannar l’anima, state rientrando a casa per la cena, avete la gola secca, peggio, in fiamme. Bramate di liberarvi di tutto quanto v’impiccia (giacca, maglietta, scarpe…) per poi tuffarvi nel frigo e riemergere con qualsiasi elisir vi capiti a tiro, basta sia ghiacciato. Gli ultimi passi e la porta di casa si sta per spalancare nella sua promessa di freschezza e felicità, quando ecco… vi avvicina un ciclista. Gronda sudore che nemmeno un finlandese uscito dalla sauna… Ha il volto offeso dal sole e segnato dalla fatica. Sugli odori sorvoliamo… al cinema non si sentono. Chiede ospitalità per la cena e un giaciglio per la notte, vi racconta di essere un prete di Santa Romana Chiesa che sta facendo il giro d’Italia in bici e senza soldi… per scommessa. Trasecolate: “Quale scommessa, di grazia?”, provate a ribattere esitanti e non senza una punta di biasimo. “Sto provando – incalza lui – a dimostrare che è possibile attraversare la Penisola, riuscendo ogni giorno a trovare ospitalità a casa di persone conosciute sul momento. Mi aiuti?”.

Ecco, come sceneggiatura che ve ne pare? Se pensate però si tratti di fantasia, vi state sbagliando di grosso, perché questo è esattamente quanto ha fatto don Tommaso Giani, diacono della diocesi di San Miniato e futuro sacerdote, che il 3 agosto scorso ha inforcato la sua fiammante city bike ed è partito da Santa Croce sull’Arno (provincia di Pisa) in direzione Reggio Calabria. Don Tommaso voleva appunto dimostrare a sé e al mondo che le parole “altruismo” e “solidarietà” sono ancora indicizzate nei nostri vocabolari.

Una sfida insomma che assomigliava molto a un gioco e come un gioco contemplava delle regole; poche in verità ma ferree: trovare ogni giorno due famiglie disposte a ospitarlo (pranzo e cena-pernottamento) e concludere il giro entro Ferragosto. In tutto 13 giorni, tanti gliene lasciava liberi il suo ministero, non uno di più. Vietato bussare alle porte di parrocchie, istituti religiosi et similia: troppo facile. Vietato in egual maniera suonare al campanello dei tanti amici sparsi per il Bel Paese. Solo e semplicemente sconosciuti. Se a una tappa l’ospitalità non veniva rimediata: game over! Il gioco finiva lì e via di corsa a casa.

E così don Tommaso ha pedalato dalle dolci colline della Val d’Orcia (dolci mica tanto poi, se devi scalarle e non ti chiami Nibali) alle assolate pianure pontine, dagli spigolosi declivi del Cilento ai lembi della Sila, fino ai vasti e ariosi litorali calabri. Ogni giorno, due volte al giorno, ha passato al setaccio, a caccia di ospitalità, borghi rupestri, periferie multietniche, quartieri aristocratici e località balneari à la page, replicando tutte le volte, come un tormentone, lo schema d’approccio letto poco sopra. Equipaggiamento ovviamente ridotto all’osso e tutto pigiato in due minuscole borse che avrebbero suscitato l’invidia di Mary Poppins. D’obbligo il bucato, da fare ogni sera per avere due mute (sempre le solite due!) decenti anche per il giorno dopo. Cos’altro? Crema solare a volontà e occhi a spillo su Google Maps per non smarrire la strada. E alla fine ce l’ha fatta.

Al tredicesimo giorno, dopo oltre 1150 km – che in alcuni strappi montani gli hanno fatto letteralmente sputare l’anima – don Tommaso ha raggiunto la punta dello Stivale, realizzando un piccolo capolavoro col quale ha suggellato l’Italia più bella, quella profonda, in cui batte ancora un cuore grande. Nel suo percorso ha incrociato 25 famiglie più “pazze” di lui che hanno accettato la sfida, si son fidate e lo hanno accolto in casa. È tutto documentato in un toccante e puntiglioso diario di viaggio in 150 scatti, pubblicato sul suo profilo Facebook, che non è solo uno zibaldone di geografia italica (don Tommaso ha toccato alcuni dei luoghi più misconosciuti e suggestivi del nostro Paese), ma anche un vero e proprio “giacimento di umanità”, una bombola d’ossigeno per respirare a pieni polmoni il Vangelo della strada.

Soltanto adesso – ci racconta – sto elaborando tutto quanto ho vissuto in quei giorni. Sono convinto si tratti di un tesoro prezioso, che avrò la responsabilità di condividere al meglio. Spero che chi ha letto il mio diario di viaggio, senza rimanerne indifferente, mi lasci un po’ meno solo in questo sogno di condividere con degli sconosciuti piccoli scampoli di quotidianità. Che non si vergogni insomma di fare brutta figura a rivolgere un invito al nuovo vicino di casa o alla persona che fa la fila alla posta insieme a lui. Queste “richieste di amicizia” reali, tante volte non verranno accettate o capite. Ma quando invece vengono ricambiate (come nel caso dei miei 25 padroni di casa sparsi per l’Italia), forse il mondo diventa ogni volta migliore”.

Occorre dire che questo ragazzone di 37 anni, oltre a pedalare, ci dà anche una grande lezione di stile: nel suo diario ha taciuto – tranne marginali note – delle scortesie, degli affronti e dei “vai a lavorare!” patiti e che presumiamo sian stati millanta. Solo il bene ha tradotto in prosa, solo l’accoglienza e la generosità ha incastonato nel suo racconto che, bisogna dirlo, ti artiglia come fosse un libro di Salgari. E questa è già una grande lezione: “Il mio – dice ancora – era un invito alle persone che incontravo ogni giorno a essere il mio buon samaritano, cioè colui che pur preso di sorpresa non si volta dall’altra parte, ma cambia i suoi programmi per prendersi cura del viandante bisognoso di aiuto”. Ma il bello di tutta questa storia non finisce qui, perché don Tommaso è riuscito a convincere queste famiglie a ritrovarsi tutte insieme domenica 13 settembre, in piazza San Pietro per l’Angelus del Papa.

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