Claudel, la poesia che incontra Dio
La mistica del poeta francese, un modello per l’oggi disorientato
La poesia è sempre stata l’espressione dell’infinito. In un mondo dove ormai sembra che tutto sia sospeso, la poesia ci insegna a guardare l’oltre che è in ognuno di noi, l'abbraccio cercato e la carezza desiderata. Perchè non trovarla nei versi di qualche poeta che magari potrebbe aiutarci ad affrontare meglio questa quotidianità che non respira, che - da tempo - sembra non trovare - diciamo la verità - la possibilità di andare oltre i cieli e così almeno sfiorare Dio?
Abbiamo - da poco - celebrato Dante, con manifestazioni importanti e necessarie. e ora che sembra passata l’ondata delle celebrazioni cosa ci rimane? Forse sarebbe auspicabile un momento di riflessione: cosa può apportare a ognuno di noi, la poesia? Magari riflettere su ciò potrebbe risultare alquanto adeguato, necessario. Dante, poeta dell’Infinito; poeta dell’ amore “che move il sole e tutte l’altre stelle”; Dante e il suo viaggio verso il Paradiso. L’uomo contemporaneo è giunto sulla luna, ma ha bisogno ancora di sognare e di cercare sé stesso nei versi. Così avviene che - alla mente - sorgono nomi e versi di poeti che proprio con l’Infinito hanno dialogato. Il nostro Novecento è colmo di figure di questo genere. Scegliamone uno, ad esempio. Basterebbe pensare a Paul Claudel, ateo prima, che dopo aver ascoltato l’organo della magnifica cattedrale di Notre Dame si converte così - come per inclinazione spontanea - al Cristianesimo.
“Chi crede – pensa Claudel – è felice di una felicità immensa. È lo specchio della felicità stessa di Dio. Gli altri, compresi i simbolisti, non sono felici. Dunque la fede rende giovani e felici, questo è segno che è vera». «Allora – continua lo Scrittore – accadde in me l’avvenimento straordinario e misterioso, che avrebbe dominato tutta la mia vita. A un tratto, mi sentii toccare il cuore e io credetti. Credetti con tal forza di adesione, con tale sollevamento di tutto il mio essere, con una così profonda convinzione, con una certezza così esente da ogni dubbio possibile, che in seguito tutti i libri, tutti i ragionamenti, tutte le peripezie di una vita agitatissima, non scossero né intaccarono mai la mia fede”.
La sua vita cambia, radicalmente. Non c’è più spazio alle filosofie illuministe francesi, ma c’è spazio solo per Gesù e il suo Vangelo: “Tu mi hai vinto, mio Bene-Amato Gesù! Tu mi hai tolto di mano le armi a una a una, e ora non ho più difesa alcuna; ed ecco che sono uno davanti a Te, mio divino Amico! Invano sono fuggito: ovunque ho trovato la tua Legge: arrendermi occorre infine! Ammettere bisogna l’Ospite in me: cuore gemente, sottostare occorre al Signore, a Qualcuno che sia in me, più me stesso che me”.
Intanto frequenta la Facoltà di Diritto e la scuola superiore di Scienze politiche coronando gli studi con prestigiose lauree. Nel 1892 vince il concorso presso il Ministero degli Esteri e inizia la sua brillante carriera diplomatica. D’ora in poi, sarà console e ambasciatore di Francia per più di 40 anni all’estero, in Cina, in Giappone, negli Stati Uniti, in Germania, in Ungheria, in Italia, in Brasile, in Danimarca e in Belgio. Ma a seguirlo c’è Cristo, e il suo Comandamento che per Claudel diviene poesia.
Fondamentale per la sua opera poetica, l’amore per Maria. A lei saprà pronunciare parole che rimarranno nel cuore della Poesia del Novecento. Una poesia non fine a sé stessa, però. Bensì una poesia che realizza una porta tra il Sacro e l’Umano. Rileggere i versi di Claudel è importante - proprio oggi - per comprendere il pieno affidamento alla Vergine Maria, in ogni situazione: “E’ mezzogiorno. Vedo la chiesa aperta. Bisogna entrare./ Madre di Gesù Cristo, non vengo a pregare./ Non ho niente da offrire e niente da domandare./Io vengo soltanto, madre, per guardarvi./ Guardarvi, piangere di felicità, dire questo,/ che io sono vostro figlio e che voi siete là./ Solo per un momento mentre tutto si ferma./ Mezzogiorno! Essere con voi, Maria, in questo luogo dove voi siete./ Non dire nulla, guardare il vostro viso,/ lasciar cantare il cuore nella sua propria lingua./ Non dire nulla, ma soltanto cantare perché si ha il cuore troppo pieno/ come il merlo che segue la sua idea in queste specie di distici improvvisi”.
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