Cibo, l'obiettivo è spreco zero
Effetto pandemia, le famiglie hanno buttato via 3,8 chili in meno di derrate. Salvate 220mila tonnellate di alimenti
Chiusi in casa per la pandemia, gli italiani hanno sprecato di meno. Sarà a causa della povertà generata dalla crisi, che ha messo in ginocchio famiglie e imprese obbligando larghe fasce di consumatori a risparmiare di più, sarà per l’incertezza del momento e la paura del futuro o perché il lockdown ci ha costretto a un rapporto più consapevole con la spesa alimentare, ma è stato calcolato che nel 2020 ogni cittadino del Belpaese ha buttato in media nella spazzatura “solo” 27 chili di cibo (poco più di 500 grammi a settimana), ovvero 3,6 chili in meno rispetto all’anno precedente. Ciò significa, come sottolinea il rapporto della Campagna Spreco Zero-Last Minute Market (su dati Ipsos), che oltre 222mila tonnellate di derrate non hanno preso la via del cassonetto con un risparmio pro-capite di circa 6 euro. Una buona base per rilanciare una politica di sviluppo sostenibile e per raggiungere l’obiettivo dello “spreco zero”.
Comunque, ammonta a 6 miliardi e 403 milioni il valore dei rifiuti domestici del cibo in Italia, una perdita che sfiora i 10miliardi con gli scarti dei settori dell’industria e della distribuzione (dati Waste Watcher International/Distal Unibo). È la frutta fresca il prodotto più sprecato (quasi 2 chili pro-capite ogni anno), seguita dal pane (1 chilo l’anno), che sono i generi più deperibili. E, sempre dalla ricerca, risulta che ci sono più spreconi al Sud (+15%, gettano 600 grammi di cibo a settimana) e nei piccoli centri mentre più virtuose sono le città e i single rispetto alle famiglie con figli (il 15% in più). A sorpresa, meno si guadagna e più si spreca: il 38% circa di italiani che si autodefiniscono “di ceto basso/medio-basso” getta in media il 10-15% di chi ha un reddito più alto.
«Dalle loro case e dalle loro cucine, reduci dai mesi di lockdown e distanziamento, gli italiani lanciano un’Opa sul loro futuro – commenta l’agroeconomista dell’universotà di Bologna Andrea Segrè, fondatore della campagna Spreco Zero e della Giornata nazionale di Prevenzione dello spreco alimentare –. La tendenza a una netta diminuzione dello spreco alimentare domestico, che a livello nazionale e globale gioca la parte del leone con un’incidenza del 60-70% sullo spreco di filiera, si conferma saldamente in questo primo scorcio del 2021, attraverso i dati Waste Watcher monitorati nella settimana del 18-21 gennaio. Colpisce l’attenzione degli italiani al tema: l’85%, quindi una percentuale quasi plebiscitaria – prosegue Segré – chiede di rendere obbligatorie per legge le donazioni di cibo ritirato dalla vendita da parte di supermercati e aziende ad associazioni che si occupano di persone bisognose, in seguito all’aumento della povertà generato dalla pandemia Covid-19».
Ma qual è, nello specifico, il comportamento degli italiani nei confronti dei prodotti alimentari e del cibo? Sette su 10 fanno la spesa una o più volte la settimana e sono consapevoli dell’importanza di spendere (ma sarebbe meglio dire investire) qualche euro in più per acquistare prodotti di qualità. Il 60% va alla ricerca del miglior rapporto qualità-prezzo. Pochissimi, invece, cioè meno del 5%, si rivolgono in modo sistematico alla ricerca della merce messa in sconto. E perché si spreca in casa? Ci si dimentica di guardare la scadenza dei cibi che si deteriorano (46%), ma a volte capita che la frutta e la verdura acquistate fossero già vicine alla deperibilità (42%) e che i cibi venduti fossero già “vecchi” (31%). Però si ammette anche di comprare troppo (il 29% dei consumatori intervistati) e di aver calcolato male il cibo che serviva alle reali necessità personali o della famiglia (28%). E per prevenire lo spreco? I comportamenti sembrano essere sempre più virtuosi. Forse proprio a causa della crisi determinata dalla pandemia sociale. L’87%, infatti, congela il cibo acquistato in eccesso e l’85% conserva gli avanzi per utilizzarli in un secondo momento. L’89% mangia prima il cibo che deperisce più facilmente per non doverlo buttare via.
Ma esiste l’esigenza di una maggiore educazione alimentare a cominciare dalla scuola (lo chiede il 91% degli italiani), e di una sensibilizzazione sulle conseguenze ambientali ed economiche dello spreco (89%). Del tutto impopolari risultano le ipotesi di aumentare il costo del cibo (il 77% boccia questa possibilità), di far pagare le tasse in base allo spreco ma anche di realizzare confezioni più grandi, una strategia controproducente per il 66% degli intervistati. (Avvenire)
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