Bruni: 'La proposta di Francesco è una vera sfida al futuro'
'Da Assisi cercheremo di incidere su complesse situazioni odierne'
«Siamo di fronte ad un'età assiale, cioè ad un momento cruciale della storia dell'umanità, come al tempo del Rinascimento tra '500 e '600 e come al tempo della rivoluzione industriale alla fine del secolo '800». Il professor Luigino Bruni, economista e storico dell'economia ragiona sulla lezione di questa grave e inedita crisi e spiega che il momento per coglierla è davvero breve, ma «c'è uno che lo ha capito: Papa Francesco».
Per questo motivo ha convocato on line ad Assisi giovani economisti da tutto il mondo?
«Sì. Bergoglio ha denunciato più volte l'economia che uccide, ma non è un ingenuo. Senza l'economia non si va avanti. Ma nemmeno si può continuare così. E allora ha deciso di lanciare la sfida, anzi una proposta che sfida il futuro, alla giovane generazione di economisti di tutto il mondo. Ha pensato che gli adulti siano inconvertibili, mentre i giovani possono trovare una risposta e cambiare l'economia».
Qualcuno lo ha già chiamato l'altro G20, quello della terza economia.
«I titoli non sono importanti, ma lo è il contenuto. Potrebbe essere un nuovo Sessantotto, come ho già detto altre volte, perché anche quello fu un momento di passaggio epocale. In ogni caso potrebbe essere il momento decisivo per elaborare una strategia accademica e concreta, consapevoli che due mila giovani economisti non possono cambiare le regole di Wall Street in un baleno, ma possono proporre nuovi paradigmi».
Possiamo chiamarli le conseguenze di Francesco?
«Esattamente. Il Papa denuncia e lancia l'allarme. È il suo mestiere. Ma bisogna poi ricavarne conseguenze pratiche, come ha scritto nell' Evangelii Gaudium, perché possano con efficacia incidere anche nelle complesse situazioni odierne. Ad Assisi cercheremo di farlo».
La pandemia ha accelerato il processo?
«Ha certificato che questo capitalismo è troppo vulnerabile e sta mettendo tutti al tappeto, per primi e con conseguenze drammatiche i poveri a qualsiasi latitudine. E su questo c' è accordo di analisi. Cioè non lo dicono solo i cattolici».
Cosa è cambiato?
«La consapevolezza della gente. Molti comportamenti si sono modificati circa la protezione dell' ambiente, consumi più responsabili, uso del denaro, solidarietà. Se avessimo ragionato sull' economia di Francesco dieci anni fa sarebbe stato tutto più difficile con effetti più temperati. Dieci anni fa si credeva che le cose non andassero poi così male. Oggi il dolore ha spinto all' azione. Le persone si muovono e acquistano maggior consapevolezza per dolore e non per piacere. Finché stai bene rimani dove sei, quando stai male ti muovi. Un malessere collettivo produce cambiamento. Speriamo tutti che passi il virus, ma io spero che non passi questa lezione».
Lei ha una trasmissione su Tv2000 che si intitola «Benedetta economia!». Non è una contraddizione?
«No, perché abbiamo messo il punto esclamativo, come dire questa benedetta economia da cambiare. Giochiamo sull' esclamazione e dobbiamo porre l' economia finalmente in dialogo con la Bibbia con l' insegnamento di San Francesco e con quello di Papa Francesco».
Occorre una nuova figura accademica che manca, una sorta di teo-economista?
«Sì. Sono pochi quelli che elaborano idee intrecciando teologia ed economia. Si studia teologia e matematica. Ma oggi è necessaria una formazione antropologica nuova perché il capitalismo è diventato una religione. L'economia oggi è più simile ad un culto che ad una tecnica matematica. Se non studi la dimensione religiosa non capisci come funziona una multinazionale. In passato l'avevano fatto Max Weber e Amintore Fanfani con la scuola della Cattolica. Più recentemente l'economista indiano e premio Nobel Amartya Sen, filosofo ed economista».
Ma tra la Chiesa e l'economia che rapporti ci sono stati?
«Rapporti conflittuali. Molta denuncia, pochi cambiamenti nella prassi e qualche contraddizione. Non abbiamo una vera riflessione sistematica del magistero sull' economia. Ci aveva provato Paolo VI con la "Populorum progressio", ma sono tentativi molto marginali. Oggi Bergoglio ha avviato un processo nuovo in questo campo, anche se i problemi non mancano. La Chiesa deve usare i soldi e il denaro è definito lo sterco del diavolo. Da una parte c' è timore, dall'altra spregiudicatezza, basta vedere cosa accade nelle finanze vaticane o cosa accadeva al tempo di Lutero, quando il mercato regolava perfino la circolazione delle indulgenze».
Come si esce dal cortocircuito?
«Smettendola di predicare una morale astratta e impegnandosi a cambiare le cose. Gli esempi non mancano».
Quali?
«San Francesco e i francescani a cui si ispira Bergoglio. I francescani hanno costruito i Monti di Pietà e i Monti frumentari, le banche del frumento. Nel '700 ce ne erano 500 nel Regno di Napoli. Era la finanza buona. L'economia senza la finanza non sta in piedi e le conseguenze le pagano i poveri. Dove manca la finanza buona non vince l' amore, ma arriva l'usura. Se eliminiamo le banche, strumenti del diavolo, diamo via libera agli usurai. Quando il Papa scrive che la finanza uccide non intende far piazza pulita delle banche, ma costruire una finanza che fa vivere. La Chiesa lo ha già fatto con le cooperative, le banche rurali, le Casse di risparmio. L'Italia è un esempio. Da noi la finanza è nata per solidarietà e non per profitto. Poi purtroppo siamo scivolati. Il forum di Assisi serve per riprendere a livello mondiale dimestichezza con quel carisma francescano. Per costruire un mondo diverso serve una finanza diversa».
La Chiesa può dare un contributo con la dottrina sociale?
«Non solo. C'è una vocazione economica specifica dei Paesi latini e cattolici rispetto ai Paesi protestanti del Nord e all'America. Siamo cresciuti meno, abbiamo grandi debiti pubblici e un sacco di problemi, ma facciamo di tutto per proteggere gli anziani. È solo un esempio e non dice che siamo più buoni o più etici. Dice che siamo diversi nelle luci e nelle ombre. Ma dice anche che bisogna governare l' economia perché ci sono persone più fragili e i poveri. Esattamente come facevano i francescani, che contrastavano gli usurai con i Monti di Pietà». (Eco di Bergamo)
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