Addio Christian Bobin, poeta dalla scrittura "francescana"
Scomparso l’autore che esaltò l’infinitamente piccolo
Anche quando scriveva un appunto, vergava le lettere con la cura certosina d’un amanuense d’altri tempi. Un’attenzione ai gesti che rifletteva la sua passione di cantore d’ogni minuto splendore dell’esistenza. Di cantore, pure, di quelle grandi anime, come san Francesco d’Assisi o la poetessa americana Emily Dickinson, capaci d’esaltare ciò che è umile e piccolissimo.
In vita, il poeta e scrittore francese Christian Bobin ne ha spiazzati tanti d’interlocutori e ammiratori, con quel suo habitus esistenziale così diverso dalle mode e dai vezzi dei salotti letterari. Sempre fedele, fino all’ultimo, a una lezione fondamentale d’autenticità che tanta linfa attingeva dalle pagine del Vangelo, frequentate incessantemente.
A 71 anni, Bobin è morto nella sua dimora di campagna in Borgogna, dove proseguiva la sua opera circondato dalla natura e da quanti passavano a trovarlo. Una vita ritirata non lontano da Le Creusot, la cittadina dov’era nato nel 1951.Quando rifletteva sull’arte letteraria, zampillavano frasi come questa: «Scrivere è disegnare una porta su un muro invalicabile, e poi aprirla». Oppure: «La dolcezza di questo poema era così grande che alla fine della lettura, non avevo più corpo».
Della morte, da credente, aveva invece scritto: «Ciò che mi mancherà nell’eternità sono i libri e le lettere. Il resto saranno solo delizie, degli oggi sensibili». Riflessioni di un’anima mai paga d’offrire il senso di una gioia sempre a portata di mano. In proposito, qualche anno fa, aveva confidato ad Avvenire: «La posta in gioco è sempre una gaiezza fondamentale, conservare il sentimento lieto del dono della vita».Un’anima, quella di Bobin, al contempo sorpresa dall’indifferenza sempre in agguato: «Quando vede un miracolo, una maggioranza di persone chiude gli occhi».
E non mancavano, talvolta, sottili frecciate ai potenti: «Ho corso sulla terrazza con una formica e sono stato battuto. Allora mi sono seduto al sole e ho pensato agli schiavi miliardari di Wall Street». I suoi modelli erano quelli che hanno puntato lo sguardo molto in alto: «Le anime sono dei compassi la cui punta trema al momento di piantarsi. Solo i santi tracciano il cerchio perfetto».
A un mare all’alba assomigliano tante sue opere, sature di lampi poetici pronti a raggiungere il cuore e l’intelligenza dei lettori. Compresi quelli, anche illustri, che lo consideravano il più grande scrittore francese contemporaneo.Nelle opere di Bobin, continuerà a risuonare una sinfonia di prodigi minuscoli capaci di rivelare la sacralità della vita.
Una sensibilità dagli accenti molto francescani che lo scrittore aveva messo a nudo proprio raccontando il Poverello di Assisi: Francesco e l’infinitamente piccolo (San Paolo), uscito in Francia nel 1992, è l’opera luminosa che ha rivelato Bobin al grande pubblico, abbeverando da allora la crescita interiore di tanti. Una galleria di «immagini dell’invisibile», come diceva lo stesso autore, che di Francesco e Chiara ha tracciato un ritratto indimenticabile, sempre sospeso fra atti terreni e riflessi celesti: «Due bracconieri. Due nomadi sulle proprietà invisibili di Dio».
Altra confidenza ad Avvenire: «È probabilmente il primo libro in cui ho potuto cristallizzare la mia coscienza delle cose».Nella stessa collana L’un et l’autre, di Gallimard — l’editore che ha dato ieri la notizia della scomparsa —, Bobin aveva pure cantato da par suo il sublime e silenzioso passaggio terreno di Emily Dickinson.
Tradotto in Italia da AnimaMundi, come tanti altri testi dello scrittore, La dama bianca è pure una riflessione sulla poesia: «La tirannia del visibile ci rende ciechi. Il fulgore del verbo buca la notte del mondo».In Italia, l’editrice Servitium ha pubblicato una serie di gemme spesso dal profondo soffio spirituale: La parte mancante, Il distacco dal mondo,
L’altra faccia, Elogio del nulla, L’ottavo giorno della settimana, L’equilibrista, Consumazione: un temporale.A cura invece di AnimaMundi, la settimana prossima, uscirà in libreria Mille candele danzanti (traduzione di Sara Saorin), nella scia di altri testi brevi e incandescenti tradotti dallo stesso editore, in cui si fondono poesia e prosa, contemplazione e narrazione, come: Folli i miei passi, Resuscitare, La presenza pura, Abitare poeticamente il mondo, Lettere d’oro, Illumina ciò che ami senza toccarne l’ombra. Di certo, le sue pagine continueranno ad accendere scintille invisibili: «Ognuno di noi, anche quando non ne ha coscienza, sta giocando la partita della propria eternità». (Avvenire)
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