cronaca

Addio a Colalucci, una vita per Michelangelo

Silvia Lambertucci Archivio Ansa
Pubblicato il 30-03-2021

Aveva 92 anni, suo il restauro della Sistina

"Gran parte dei colleghi e degli storici dell'arte non ha capito quel restauro". Seduto nel salotto di casa, ormai anziano, Gianluigi Colalucci - morto la notte scorsa a 92 anni - raccontava qualche mese fa, protagonista di un bel documentario di Eleonora Pepe (L'età dell'oro, una serie ideata da Gianluca Sgalambro) del grande lavoro di una vita, quel restauro della Cappella Sistina e degli affreschi di Michelangelo al quale il suo nome rimarrà per sempre legato. E dopo tanti anni non nascondeva il cruccio per le critiche, violentissime, che lo avevano accompagnato, per quelle polemiche alle quali si era trovato suo malgrado a dover rispondere. Tanti colleghi, ripeteva con quel suo tono insieme pacato e fermo, non hanno capito "perché la Sistina è così. Non perché è pulita troppo forte, ma perché è pulita fino al punto da recuperare la pittura di Michelangelo. Punto e basta". Se poi il salto tra com'era ridotta a com'erano i colori di Michelangelo è forte, aggiungeva, "non è un problema mio".

Sicurezza, passione, dedizione. Ma anche tanta tensione, il senso di una responsabilità spaventosa, la paura immensa e umanissima di sbagliare, di rovinare per sempre un capolavoro senza eguali. Questo raccontava Colalucci di quello che era stato definito "il restauro del secolo", un lavoro andato avanti per oltre 15 anni, dal 1980 al 1994, per di più sempre sotto l'occhio delle telecamere di una tv giapponese, la Nippon Television Network Corporation, che aveva finanziato il cantiere con 4,2 milioni di dollari in cambio dei diritti cinematografici. E sì che per lui, nato a Roma nel 1929 da una famiglia di avvocati, nessuna tradizione artistica famigliare a cui fare riferimento, l'approdo agli studi di restauro, raccontava, era arrivato proprio da una folgorazione avuta da bambino ai Musei Vaticani, dove una zia maestra lo aveva portato in visita e dove era rimasto incantato a guardare un ponteggio allestito guarda caso nella Sistina. "Quello che avevo capito allora era che la cosa che mi piaceva di più era essere a contatto con l'opera d'arte", diceva.

Quindi sì, quell'incarico di grandissima responsabilità arrivato dopo una carriera fitta di lavori importanti (da Raffaello a Giotto, da Leonardo a Guido Reni, persino il Camposanto di Pisa) lo aveva coinvolto e quasi travolto, diceva sorridendo, ricordando l'emozione della prima volta in cui aveva provato "a passare un fazzoletto inumidito di saliva sui colori di Michelangelo": "Vidi che si squagliava qualcosa di marroncino e veniva fuori un bellissimo ocra, fu un'emozione incredibile". Un racconto lucido, il suo, zeppo di ricordi, uno più forte dell'altro, dallo stordimento provato al cospetto della figura del giovane e biondo Eleazar, fino ai momenti più delicati e difficili, quelli della pulitura della testa di Adamo e poi per la testa del Cristo : "Il giudizio universale ruota intorno alla figura del Cristo Giudice col braccio alzato e questo ha solo tre pennellate nell'occhio, cosa sarebbe successo se le avessi cancellate? Avrei distrutto un capolavoro patrimonio dell'umanità, come avrei potuto, dopo, continuare a vivere?".

Passione, lavoro forsennato, pressione mediatica. Ma anche la tristezza, raccontava, all'idea che un giorno quel lavoro lunghissimo sarebbe finito e lui, "come tutti gli altri" avrebbe dovuto lasciare quel posto, dove invece avrebbe volentieri "abitato e dormito". Quasi un'ossessione, con quei volti di Michelangelo che gli tornavano in mente e gli pareva di riconoscere "per strada, sugli autobus, ovunque". Perché la "pittura di Michelangelo è così", diceva, "non è verista ma è l'essenza stessa dell'uomo". Tant'è, a quasi trent'anni di distanza da quel lavoro epocale, tanti storici dell'arte, dal grande Antonio Paolucci ex direttore dei Vaticani a Claudio Strinati e Tomaso Montanari, oggi gli rendono onore, sottolineano la grandezza della sua opera e la gentile fermezza, il valore antico dell'uomo.

I Musei Vaticani, annunciandone la morte su Instagram ricordano il suo lavoro come i "Il restauro del secolo" e sottolineano che i colori della volta che vediamo oggi, sono il frutto del suo coraggio, un concetto ribadito da Paolucci che ne fu amico e che lo piange, da Strinati che stigamatizza le polemiche più feroci, da Montanari, che ne ricorda l'etica, l'attaccamento al patrimonio dell'arte.  Lui, che dopo l'incredibile esposizione mediatica della Sistina ha ricevuto premi e lauree honoris causa, ha insegnato in Europa e negli Stati Uniti, in Australia e in Giappone, negli ultimi mesi della sua lunga vita parlando di Michelangelo e di quegli anni a tu per tu con il Giudizio Universale si emozionava ancora: "Conosco quella pittura centimetro per centimetro, sono stato impastato con Michelangelo, la sua pittura è parte di me".

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