A scuola sotto le bombe
C’è chi vi partecipa nei bunker
Dopo le vacanze natalizie e nonostante il picco dei contagi, quando il governo italiano concesse il ritorno a scuola in piena presenza, molti pensarono che sarebbe stato per poco. Ma la scuola, tutto sommato, grazie soprattutto al grande lavoro del personale scolastico ha retto e superato i giorni più critici. Mai avrei immaginato, tuttavia, che un’altra scuola a distanza sarebbe stata necessaria. E stavolta non per la minaccia del virus, ma per l’esplosione di una guerra atroce e cruenta nel cuore della nostra Europa.
"Un massacro insensato", come lo ha definito Papa Francesco. Bombe e missili – lo abbiamo visto in reportage strazianti – vengono lanciati anche su istituti scolastici. Ciononostante attraverso la rete la scuola si riorganizza, cerca di non perdere il contatto e la cura con i più piccoli. Una scuola a distanza tiene ancora insieme gli studenti e le studentesse ucraine.
C’è chi vi partecipa nei bunker, chi è costretto a restare a casa per problemi di disabilità, e chi, una volta partito, riesce a trovare accoglienza presso strutture e associazioni laiche e religiose. In questi giorni non pochi istituti né pochi francescani... Oggi mi trovo presso l’Istituto Seraphico di Assisi che ha accolto undici bambini e un’intera famiglia ucraina.
Eugenio e Olga, i genitori, e i loro tre figli Nazar, Vlada e la piccola Veronica, che ha bisogno di cure mediche specifiche e di essere alimentata artificialmente. Decido di andare a portare loro un saluto e vengo accolto dal calore di Francesca di Mauro, la responsabile del centro. C’è la musica della chitarra di Michele, una traduttrice ucraina che cerca di aiutarci mentre la sua mente è agli orrori del suo Paese, altri volontari dalla Toscana e dalla Sicilia che sono accorsi a portare la loro solidarietà.
Mi colpisce la fierezza con cui Nazar e Vlada mi mostrano le loro camicie bianche ricamate a mano, come tradizione della loro terra. Come l’orgoglio di Eugenio la cui unica preoccupazione è la salute della sua piccola e fragile Veronica. Il 19 marzo era San Giuseppe e non mi è difficile pensare alla forza e alla sensibilità di questi padri ucraini, che cercano di incarnare il senso più alto della famiglia. Ma penso anche a quelli che devono lasciare la famiglia per dover difendere la terra dall’invasore.
Domani Vlada si dovrà alzare alle 7 perché alle 8 si collegherà con Dnipro, la scuola n.101., insieme ad altri 23 alunni, alcuni dei quali, tra i profughi, in Polonia, altri in Germania. Una parvenza di normalità. Accompagnata dal desiderio espressomi da Vlada: che la guerra finisca presto, e che si possa tutti ritornare a casa come prima. Tra tanto buio la luce di collegarsi con i compagni di scuola e non perdere l’anno scolastico. Nonostante tutto un po' di luce. Con la paura che una bomba, un attacco possa distruggere la sua scuola. Ma intanto, mi dice Vlada, posso ancora studiare!
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