Un passato dimenticato, un presente da ricordare
Tra il 1861 e il 1985 si stima siano partiti quasi 30 milioni di emigranti
Il caso della nave Diciotti sta interrogando da diverso tempo sia l’opinione pubblica (compresa la stampa, ovviamente), sia il mondo politico. Catania, con quel mare sconfinato davanti, sta divenendo una sorta di “enorme palcoscenico”, triste palcoscenico, di una storia che assurge, forse, ad emblema della Storia di questi anni.
Ma c’è una Storia che è importante ricordare. Questo approfondimento vuole, a volo d’angelo, ripercorrere quello che è stato il fenomeno dell’emigrazione che l’Italia stessa ha vissuto e che – visto anche gli ultimi dati – sta tutt’ora vivendo. Forse, questo, è un dato che sfugge facilmente e che, invece, meriterebbe una giusta riflessione. Quello dell’emigrazione è un ciclico corso storico che il nostro Paese ha vissuto, fin dalla fine dell’Ottocento. Lo sappiamo bene. Lo abbiamo studiato, fin dagli anni dei banchi di scuola. E le generazioni future, assieme a questo più che delicato tema dell’immigrazione dei nostri giorni, a questo scenario a cui stiamo assistendo, avranno modo di riflettere anche su quella che comunemente viene definita “fuga di cervelli”, ma che – data la situazione economica dell’Italia – non sempre, lo stiamo capendo man mano, riguarda solo le cosiddette maestranze italiane.
Partiamo (ed è proprio il caso di dirlo) dal presente. Il problema dei tanti italiani che abbandonano l’Italia è stato segnalato anche dall’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) che ha fatto presente questo importante dato: la Penisola italica è ottava nella graduatoria mondiale dei Paesi di provenienza di nuovi immigrati. Il Centro studi Idos, istituto di ricerca sensibile al tema, ha stimato che nel 2016 sono stati ben 285mila italiani a lasciare il proprio Paese. Dati che fanno pensare, e molto. Nel secondo dopoguerra furono 300mila.
Ma, dicevamo, “questa” Storia vede il suo inizio diverso tempo fa: fine Ottocento. Questo, è stato il periodo a cui si dà inizio il processo di emigrazione italiana. Emigrazione, che gli storici hanno diviso in tre periodi.
La Grande Emigrazione
Il primo, conosciuto come Grande Emigrazione, nasce nel 1861 con l'Unità d'Italia e termina negli anni venti del XX secolo, con l'ascesa del fascismo. Tra il 1861 e il 1985 si stima siano partiti quasi 30 milioni di emigranti. A partire non erano solo braccianti, ma anche gli stessi proprietari terrieri che con le loro rimesse compravano casa o terreno in patria. Le destinazioni? New York e gli States, ma non solo. Così come non solo si partiva dal Meridione. I genovesi, ad esempio, ben prima del 1861, partirono alla volta dell’Argentina e dell'Uruguay.
Migrazione Europea
Il secondo momento di forte emigrazione all'estero, conosciuto come Migrazione Europea, è avvenuto tra la fine della seconda guerra mondiale e gli anni settanta. A partire dagli anni quaranta, cambiarono le destinazioni. Più vicine, europee: Svizzera, Belgio, Francia e Germania. Questi, erano considerati da molti, al momento della partenza, come una meta temporanea. Lavorare per guadagnare molto, e poi ritornare in Italia. Una menzione particolare è necessaria riservarla al Belgio, terra destinata al lavoro in miniera ed improvvisamente abbandonata nel 1956, in seguito alla famosa tragedia di Martinelle nella quale persero la vita anche 136 minatori italiani. Questo flusso migratorio cominciò a diminuire intorno agli anni Sessanta quando in Italia avvenne il cosiddetto boom economico.
Nuova Emigrazione
È quella che stiamo vivendo ora. Ècominciata all'inizio del XXI secolo, causata dalle difficoltà sociali della grande recessione del nostro Paese, e – in generale – dalla crisi economica mondiale. I numeri, gli ultimi numeri, sono quelli che hanno aperto questo approfondimento.
C’è un’altra Italia, all’infuori dell’Italia. Questa, è la realtà. Ed è rappresentata – secondo i dati del Ministero degli Esteri – da 4.500.000 “unità”, a cui vanno aggiunti i 58.500.000 nati proprio da tutti quegli emigranti che partirono dal Belpaese, per poi addirittura non fare più ritorno.
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