Un anno di corridoi umanitari. L'integrazione protegge più dei muri
Khaled non ha paura del mare perché è arrivato con l'aereo e non con il barcone. Sorride come tanti bambini della sua età, gioca, va a scuola, ormai fa la vita di tutti i suoi coetanei. Basterebbe la sua fotografia per trasmettere il valore dei corridoi umanitari.
Ma per capire tutti i riflessi positivi di questo progetto, che è nato per accogliere e inserire nella nostra società chi fugge da guerre e persecuzioni, occorre raccontare di più. Perché dimostra quanto faccia bene all'Europa l'integrazione e quanto facciano male invece i muri, sia quelli europei che quelli di Oltreoceano. Da una parte c'è il futuro, dall'altra solo un passato pieno di paure. Meglio scegliere il primo. Lo dimostra la storia di un anno.
Sì, perché oggi, a Fiumicino, si festeggia il primo compleanno dei corridoi umanitari accogliendo l'arrivo di un nuovo gruppo che fa salire a quasi 700 il numero dei profughi siriani giunti dal Libano, dove altrimenti sarebbero rimasti, per chissà quanto tempo ancora, nell'amaro limbo dei campi o in altri alloggi di fortuna.
Sono invece qui fra noi, i primi arrivati ormai capaci di farsi capire in italiano, alcuni già in grado di inserirsi nel mondo del lavoro avendo ottenuto lo status di rifugiato, i figli frequentano le nostre scuole e, complessivamente, la loro presenza in Italia ha prodotto più vantaggi che difficoltà.
In un anno abbiamo capito tante cose. Prima di tutto che è possibile offrire un'alternativa ai viaggi della morte nel Mediterraneo sottraendo i profughi ai trafficanti di uomini. In secondo luogo che l'Europa non è condannata ad affrontare il fenomeno immigrazione sotto l'ombrello della paura e della demagogia, ma che è possibile gestirlo coniugando sicurezza e integrazione.
Il progetto promosso dalla Comunità di Sant'Egidio insieme alle Chiese protestanti italiane garantisce infatti controlli nel Paese di partenza e in quello di arrivo, un'accoglienza diffusa (finora in 17 Regioni e 68 Comuni italiani) e un inserimento nella società che viene studiato e programmato tenendo presente sia le esigenze delle persone ospitate, sia quelle delle realtà locali. Il tutto senza far spendere un euro allo Stato, che pure è partner dell'operazione consentendo il rilascio dei visti umanitari per entrare e, in un secondo momento, il riconoscimento dell'asilo politico.
Certo, si potrebbe dire che 700 è una piccola cifra, che anche quando si arriverà ai 1000 previsti dal progetto e si aggiungeranno gli altri 500 dei corridoi umanitari dall'Etiopia - che vedono anche la partecipazione della Chiesa italiana - si sarà ancora lontani dai grandi numeri degli arrivi in Europa. Ma qualcuno doveva pur cominciare.
E, soprattutto, doveva fare uscire il dibattito sull'immigrazione da una strumentalizzazione politica che non giova senz'altro alla difesa dal terrorismo e, al contrario, rischia di invelenire i già complicati rapporti con l'Islam.
In altre parole, un modello che funziona e che è replicabile: presto verrà realizzato con le stesse modalità in Francia e anche altri Paesi sono vivamente interessati. Un messaggio importante per l'Europa che quest'anno rischia di trascinare tutto il dibattito sull'immigrazione nel gran calderone delle molteplici campagne elettorali in programma, ma anche per gli Usa di Donald Trump che farebbero bene a riflettere sugli strumenti migliori da adottare per proteggersi: intelligence a parte, dal terrore non ci si difende con la paura, espressa in modo fortemente simbolico dai muri, ma con progetti che favoriscono sicurezza e integrazione. (Andrea Riccardi - Huffington Post)
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