Storia, le svolte della ricerca
La storia si costruisce sul campo, ma nessuna è neutra
La storia è costituita da fatti, si costruisce sul campo, mette insieme prove e ripercorre il passato. Vero. Ma anche falso. Nel sentire comune fare storia coincide con il paziente lavoro di ricucitura di frammenti, più o meno parlanti, di episodi sepolti dal tempo, fatti riemergere come un reperto archeologico dalle nebbie di epoche tramontate. Se questa visione contiene ingredienti di verità, dimentica spesso di riflettere su un dato: nessuna ricostruzione storica è neutra e non c' è storico che racconti una storia oggettiva, univoca e incontrovertibile. Ogni esperto del passato è infatti influenzato, consapevolmente o meno, dalla sua formazione, dal contesto sociale e culturale in cui opera; è condizionato dai suoi giudizi, pregiudizi e, soprattutto, guidato da domande, interessi specifici e curiosità che muovono le sue ricerche e - punto più importante ancora - le sue risposte. Come si può dunque "smascherare" lo storico, facendolo uscire dal guscio di presunta oggettività in cui i risultati del suo lavoro sembrano porlo? Un' intelligente lettura per risolvere questi quesiti viene dal libro di Carlotta Sorba e Federico Mazzini sui presupposti teorici e metodologici del fare storia ( La svolta culturale. Come è cambiata la pratica storiografica). Sebbene possa sembrare un argomento specialistico, il testo si dimostra in realtà capace di parlare a un pubblico ampio, con un linguaggio chiaro e accessibile, che consente di cogliere un dato cruciale: il mestiere dello storico - per rievocare un' immagine di Marc Bloch - non può prescindere dalla riflessione teorica. La storia non è semplice lavoro sul campo ( archivio, biblioteca, scavo archeologico, museo o ogni altro deposito di testimonianze sul passato), ma una fatica costantemente coniugata con uno sforzo di analisi e autoanalisi sui presupposti da cui ogni storico è mosso.
Sorba e Mazzini, riportando brani delle opere di volta in volta citate, accompagnano il lettore in un secolo di svolte e cambiamenti (i turns, secondo la definizione inglese che spesso compare, accompagnata da questo o quell' aggettivo: cultural turn, linguistic turn, archival turn e così via). Assumendo questi tornanti come pilastri, gli autori avviano il loro percorso dalla nascita della storia culturale, una storia sempre più interessata alla comprensione totale degli uomini e dei contesti, capace non solo di dire cosa accadde, ma anche di sondare cosa si credette, si pensò e si percepì. Ad aprire questo itinerario è la scuola francese delle Annales che, ormai un secolo fa, pose al centro dell' indagine la mentalità e i sentimenti delle comunità e degli individui intesi come motori dell' azione collettiva. L' importanza della dimensione culturale divenne ancora più evidente quando un pensatore come Hayden White, scatenando dibattiti e polemiche inesaurite, sostenne che la storia non era che un insieme di fatti privi di connessioni, se non quelle create da un narratore - lo storico, appunto.
Mentre la storia veniva ridotta all' arte di raccontare i fatti e tesserli in una trama convincente, altri scoprivano la necessità di tenere assieme antropologia e sapere storico o, ancora, percorrevano traiettorie originali, come quelle di Michel Foucault, concentrato sulla genesi delle pratiche connesse al potere, alla malattia e a ogni forma di anormalità (come la definì egli stesso). In un panorama vivace e aperto alla sperimentazione, la storiografia italiana puntò sull' indagine di contesti circoscritti, utilizzati come chiave per comprendere fenomeni di ampia portata (la cosiddetta microstoria che riduceva la scala di osservazione, ma non l' ambizione di dare spiegazioni generali). Il volume prosegue esplorando nomi, autori e proposte in un viaggio appassionante che giunge sino a noi. Al termine, gli autori enumerano alcune delle sfide che restano aperte nella pratica degli storici, dalle frontiere del digitale al rapporto tra storia e finzione nella cultura di massa, dove ai romanzi ottocenteschi e agli sceneggiati novecenteschi si sono sostituiti serie tv, videogame, realtà virtuali e app. Una conferma, se mai ve ne fosse bisogno, che il passato è esso stesso attore e motore del nostro presente, in un dialogo tra dimensioni temporali che sono parte della vita individuale e collettiva più di quanto si tenda a pensare. (Avvenire)
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