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Stop all'economia fondata sul denaro?

Alessandro Zaccuri Pixabay
Pubblicato il 02-07-2020

Per uscire dalla pandemia servirebbe una nuova Bretton Woods

Per uscire dalla pandemia servirebbe una nuova Bretton Woods: oggi lo dicono in molti, ma se ne parlava già nel 2008, sotto l' urto della crisi finanziaria. «Durante la campagna elettorale per la Casa Bianca, Barack Obama sostenne la necessità di un accordo globale sulle politiche monetarie, sul modello di quello che nel 1944 aveva disegnato gli scenari del dopoguerra - osserva Pierangelo Dacrema - . Non se ne fece nulla, purtroppo. Il sistema bancario statunitense si è limitato a mettere in sicurezza sé stesso e lo status quo ante è stato ripristinato senza discussione. Tutto come prima, appunto, ma non è andata esattamente bene». Professore di Economia degli intermediari finanziari all' Università della Calabria, Dacrema è un economista anomalo.

Nei suoi saggi (molti dei quali pubblicati da Jaca Book) si ribella agli automatismi della "scienza triste" e si spinge a proporre l' abolizione della moneta, ma è anche capace di scrivere romanzi nei quali, per una bizzarria della sorte, Karl Marx si ritrova a dialogare con John Maynard Keynes. Del confronto serrato con Il Capitale e con Le conseguenze economiche della pace si riconoscono le tracce anche in Economia del malessere (All Around, pagine 128, euro 15,00), nel quale Dacrema propone un' analisi controcorrente del dopo-coronavirus. Un libro a tratti polemico, ma non del tutto pessimista, come si desume già dal sottotitolo: «Perché tutto andrà bene se nulla sarà come prima».

Non è un obiettivo troppo ambizioso, professore?
Può darsi, ma la mia sensazione è che oggi non ci siano più i margini per uscire indenni da un errore simile a quello commesso nel 2008. Da almeno vent' anni, a partire dagli attentati dell' 11 settembre, non facciamo altro che ripeterci che basta, indietro non si torna, salvo poi accomodare tutto alla bell' e meglio, così da ripristinare le condizioni preesistenti.

Su quali aspetti bisognerebbe intervenire?
Sulla mentalità complessiva, prima ancora che sui singoli elementi. Qualche sintomo, però, potrebbe essere affrontato in modo tempestivo. Prenda la disparità di trattamento economico all' interno di un' azienda. Negli anni Ottanta il rapporto fra la retribuzione di un impiegato e quella di un dirigente era di 1 a 30, massimo 1 a 40. Oggi si è assestata su 1 a 400, senza che nessuno trovi nulla da ridire. Davanti a una sperequazione di questo tipo è illusorio limitarsi a introdurre correttivi fiscali. Occorre una nuova visione d' insieme.

Perché se la prende tanto con la moneta?
Perché il denaro non è l' economia, ma uno strumento al servizio dell' economia. Uno strumento, aggiungo, che nel corso del tempo si è fatto sempre più costoso, fino ad avere effetti controproducenti. Lo si capisce bene se si esamina il fenomeno della disoccupazione, che è un portato di questa visione incentrata sulla moneta. Nel momento in cui operiamo un' equazione tra lavoro e denaro, chi non viene retribuito per quello che fa è da considerare privo di occupazione. Ma nella realtà non è così, e a dimostrarcelo è stata proprio l' esperienza degli ultimi mesi.

A che cosa si riferisce?
Al fatto che nella fase più drammatica dell' emergenza noi tutti ci siamo resi conto di come l' economia sia gesto creativo e generoso. Ce lo ha insegnato il lavoro dei medici, degli operatori sanitari, degli addetti alle varie occupazioni essenziali che hanno tenuto in vita le nostre città, assicurandoci conforto e benessere. Il vero valore economico è di natura sociale, non finanziaria, e in quanto tale andrebbe riconosciuto.

Questo è il motivo per cui lei propone una moratoria globale dei pagamenti?
È un' idea che può apparire azzardata o addirittura ingenua, ne sono consapevole. Ma fino a quando non cambieremo modo di pensare, non riusciremo a realizzare progressi autentici. Anziché accontentarci di un prudente ritorno al passato, dovremmo guardare veramente al futuro, ricordando a noi stessi che un giorno il Sole si spegnerà.

Stiamo cercando di uscire dall'eclissi della pandemia e lei invoca l' apocalisse?
Più che un' eclissi è stato un appannamento: nascosto dietro le nuvole, ma il Sole c' era ancora, c' è sempre stato. E questa è una buona notizia, sia chiaro. Allo stesso tempo, però, abbiamo la responsabilità di prendere decisioni che non soddisfino solo le necessità immediate o mettano a tacere le paure del momento. Ragionare in termini globali significa rimettere in gioco la componente innovativa o, meglio, poetica di qualsiasi attività umana.

La moratoria andrebbe in questa direzione?
Certamente. Un' eventuale sospensione di ogni forma di pagamento in denaro eviterebbe il rischio di focolai inflazionistici e darebbe luogo a uno straordinario esperimento sociale di economia postmonetaria.

Sì, ma è un'ipotesi estrema «Quando l' accumulazione di ricchezza non rivestirà più un significato sociale importante, interverranno profondi mutamenti nel codice morale »: così Keynes nel 1930. Secondo le sue previsioni, questa soluzione del "problema economico" avrebbe richiesto circa un secolo. A conti fatti, ci siamo quasi. Provi a considerare un altro dato: il mondo intero dipende dall' agricoltura, eppure nessuno degli uomini più ricchi del mondo trae dall' agricoltura i suoi guadagni.

E questo che cosa indica?
Che esiste un divario enorme tra la realtà e il modo in cui la rappresentiamo. I numeri della finanza non sono sufficienti a spiegare la complessità dell' economia, che è fatta di azione umana, di fatica, di concretezza. Proprio per questo, non può essere ridotta a una proiezione matematica.

Ma lei crede che la moratoria sarebbe adottata da tutti i Paesi del mondo?
L' Europa potrebbe cominciare a dare l' esempio e gli altri governi, presto o tardi, finirebbero per adeguarsi. Alla lunga il principio di collaborazione, su cui si fonda l' Unione Europea, prevale sempre sui tatticismi particolaristici di breve respiro.  Il dibattito di queste settimane non sembra troppo incoraggiante, non trova? Le rispondo citando non Bretton Woods, ma un altro accordo: Londra, 1953. Fu allora che si decise di dimezzare il debito pubblico della Germania. Un condono gigantesco, che permise al Paese di diventare la potenza economica che conosciamo. A giudicare da come si sta muovendo Berlino, direi che la cancelliera Merkel non ha dimenticato quell' episodio. (Avvenire)

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