Le visite dei pontefici
Un tema dibattuto dalla nascita della ricerca scientifica moderna
Il rapporto tra scienza ed etica è un tema alquanto dibattuto dalla nascita della ricerca scientifica moderna, ossia sostanzialmente dai secoli XVII e XVIII, quindi da Galilei e Newton in poi. Non che prima non esistesse, ma in epoca greco-romana la questione veniva risolta direttamente dalla filosofia e in età medioevale anche dalla morale cristiana. In queste due epoche le scienze della natura si fondavano su principi sia ontologici sia etici di una scientia rectrix ("scienza guida" o "scienza direttrice"), che era la metafisica. Il problema dell'etica nella scienza nasce dunque nel momento in cui l'indagine scientifica del mondo si separa da quella filosofico-teologica, determinando un vuoto antropologico rispetto all'unità di etica e sapere. Del resto che il tema dell'etica nella scienza esista lo lasciano trapelare anche i fatti odierni legati al Covid-19, dal momento che stiamo attraversando una fase in cui gli scienziati di tutto il mondo si dividono tra loro su come affrontare e spiegare la pandemia.
Lo spettacolo di specialisti di varia provenienza (in primis epidemiologi e virologi) che si contraddicono e perfino si insultano in diretta televisiva lascia chiaramente sconcertati, poiché la prima regola che dovrebbe seguire un uomo di scienza è quella del rispetto dei colleghi e la seconda quella di ammettere con onestà la propria "ignoranza" di fronte a fenomeni ancora non ben conosciuti. E qui sta il punto: in realtà non è la scienza in quanto tale ad avere bisogno di un'etica o di principi etici, ma sono gli scienziati in quanto esseri umani impegnati in un'attività che si riverbera sulla comunità umana nel suo insieme. Il potere odierno della scienza e della tecnologia (o della "tecnoscienza", come viene chiamata nell'enciclica Laudato si') non è uno slogan, ma una realtà; e naturalmente come tutte le forme di potere è in mano a singole persone che per ben operare devono seguire una regola morale. Il filosofo del "principio responsabilità" Hans Jonas, di fronte al potere derivante dalla scienza e dalla tecnica, ha sentito la necessità di formulare un nuovo imperativo categorico in aggiunta a quelli kantiani, che recita così: "Agisci in modo che le conseguenze della tua azione siano compatibili con la sopravvivenza della vita umana sulla Terra".
È infatti evidente che certe ricerche in campo fisico possono portare a ordigni di morte come le bombe atomiche, così come è evidente che certi esperimenti genetici possono produrre conseguenze di breve e lungo periodo letali per la specie umana e non solo. Di fronte a questi dati di fatto, assistiamo sostanzialmente a tre prese di posizione: l'anarchismo, il deontologismo e l'etica dei valori o delle virtù. L'anarchismo rappresenta il punto di vista di chi ritiene che la scienza e gli scienziati non debbano rispettare alcuna norma, se non quella dettata dalla loro libera coscienza individuale; che in altri termini "la regola etica applicata sic et simpliciter alla ricerca può portare danni superiori a quelli dell'assenza di regole predefinite". Insomma, per l'indagine scientifica e gli scienziati everything goes. Chi sostiene questa tesi certamente non riflette che così si lascerebbe campo libero anche a chi va contro il principio categorico di Jonas; e questo fino agli esiti estremi degli esperimenti compiuti da uomini di scienza nei campi di sterminio nazisti. La posizione deontologista afferma invece che deve essere la stessa comunità degli scienziati a dotarsi di un codice deontologico, nel quale si specifichi che cosa si può fare e che cosa non si può fare. Si tratterebbe in altre parole di formulare una serie di "giuramenti di Ippocrate" per ogni singola disciplina scientifica.
Ora, a parte il fatto che nell'attuale contingenza pandemica abbiamo oggettivamente assistito ai limiti applicativi del giuramento di Ippocrate, un'impostazione deontologica rischia di far perdere di vista il rapporto della comunità scientifica con la comunità umana nel suo insieme e porrebbe comunque il problema di chi decide concretamente le regole da seguire (un nuovo ordine professionale? Un consesso di rappresentanti eletti da tutti gli scienziati? Una votazione democratica a maggioranza?), nonché soprattutto di chi le farebbe rispettare: un consiglio superiore di scienziati tipo Csm o consigli come quelli degli ordini professionali? Qui ogni commento appare superfluo In breve, non vanno bene né la posizione anarchica né quella deontologica, perché nessuna delle due appare adeguata a trovare un fondamento stabile al citato principio di Jonas; quindi resta solamente la via dell'etica dei valori o delle virtù universali, che impegna tutti gli uomini indistintamente, scienziati compresi. Come insegna infatti l'episodio dantesco di Ulisse nel XXVI canto dell'Inferno, l'aspirazione naturale dell'essere umano alla conoscenza non va mai separata dalla ricerca della virtù, anzi quest' ultima deve sempre venire per prima: "Fatti non foste per viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza". (Avvenire)
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