Rovesciare la monarchia della paura
Ci opprime, ma ci aiuta anche a sopravvivere
«Ma tu hai paura?». Questo interrogativo è diventato, nel corso del 2020, una modalità di approccio, un genere di conversazione, una tecnica di approfondimento della conoscenza reciproca. L' oggetto (o meglio, il soggetto) della paura è, va da sé, il Covid: e questo, paradossalmente, rappresenta un fattore di sollievo, in quanto il timore del contagio sembra riassumere in un solo allarme tutti gli allarmi e, con essi, le ragioni che rendono precario il nostro presente: innanzitutto ansia e insicurezza. Ecco, consideriamo questo ultimo termine, che ha dominato - nell' accezione di pericolo per la nostra incolumità e i nostri beni - gli ultimi decenni: e scopriremo agevolmente che la domanda di sicurezza oggi è stata come assorbita tutta all' interno delle diverse e convergenti strategie di immunizzazione. Da un certo punto di vista, è un passo avanti. Perché, un' interpretazione razionale e integrale di sicurezza, che si fondi su salute e benessere, rimanda al concetto di terapia. Non a caso, nell' etimologia di quest' ultima parola si trovano due significati paralleli e connessi.
Il primo rimanda ai verbi curare, assistere, guarire, il secondo fa riferimento a termini come aiutante, compagno, servitore. Insomma, la capacità di curare prevede sempre un accompagnamento: ed è questa relazione tra medicina e tutela che può garantire la rete di protezione destinata a offrire il massimo possibile di salute e benessere. Ma qui, quale ruolo gioca la paura? Nel suo più recente saggio pubblicato in Italia da il Mulino, Martha C. Nussbaum ( La monarchia della paura. Considerazioni sulla crisi politica attuale ) offre una prospettiva assai interessante. Secondo la filosofa statunitense, la paura si manifesta insieme allo sviluppo della personalità sin dall' infanzia, ed è funzionale a preservare l' individuo grazie alla consapevolezza della propria vulnerabilità e quindi della necessità di salvaguardare il proprio corpo e l' ambiente che lo accoglie e lo ospita. La paura, dunque, se intelligentemente gestita, può risultare un fattore vitale e un elemento di sviluppo. Tuttavia, nonostante l' esistenza di insidie oggettive diventa sempre più complicato distinguere fra paure reali e paure immaginarie. E più noi cresciamo, più crescono le possibilità di incorrere in pericoli oggettivi che pure si nutrono di fantasie e paranoie. Accadde alla stessa Nussbaum, che mentre si trovava in Giappone nel 2016, ricevette la notizia dell' elezione di Donald Trump. Un fatto che tanto più la scosse quanto più era «ragionevolmente sicura che gli appelli alla paura e alla rabbia sarebbero stati ripudiati». La conseguenza fu un personale stato di allarme che la rese incapace di equilibrio e che fiaccò la sua facoltà di giudizio.
Questa privata esperienza della paura, nella relazione nevrotica tra eventi pubblici e reazioni soggettive, induce l' autrice ad analizzare l' uso che del panico morale fanno alcuni attori e assetti politici, che lo assumono come strumento di orientamento dell' opinione pubblica e della produzione legislativa. Ma nonostante l' azione di leader attivissimi nel manipolare quei sentimenti e quegli umori, nonostante il dilagare dei crimini d' odio e nonostante, infine, la gracile costituzione della percezione della verità, assediata da menzogne e fake news, Nussbaum non cede a visioni apocalittiche. Se è vero com' è vero che la fase attuale non è, certo, il compimento della marcia umana verso l' uguaglianza e, anzi, sono enormi i rischi che corrono le democrazie contemporanee, ci si può comunque augurare che «il lavoro e la speranza» possano «fare molto di buono». Dunque, per analizzare i rischi che la paura possa diventare la bussola impazzita della vita pubblica, Nussbaum illustra alcuni casi di studio, come le questioni di genere nelle relazioni familiari e sociali, le discriminazioni nei confronti del mondo Lgbtq, le politiche della formazione per persone con disabilità. Attraverso la valorizzazione del dialogo e della cooperazione, il saggio di Nussbaum invita alla riflessione e all' introspezione, investendo sulla possibilità offerta a ogni uomo di provare simpatia per l' altro, immaginandosi nei suoi panni. Guidati da queste "buone emozioni", sarà possibile non farci paralizzare dalla paura e condurre una vita apprezzabilmente consapevole. Un libro importante, che non è, in alcun modo, un manuale del bon ton civico o un galateo morale: è, piuttosto, una guida a un' etica pubblica possibile e praticabile.
Ma torniamo al discorso dell' autrice sul rapporto tra infanzia e paura. Sin dalla prima età si apprende che «alcuni animali e alcune persone non riappaiono», dal momento che «la morte di fratelli e genitori un tempo era evento frequente e i bambini imparavano rapidamente a vedere il mondo e la loro stessa esistenza come un luogo molto fragile». Poi, con il procedere dell' età e dell' esperienza, si scoprirà che «la paura della morte ha molti aspetti positivi. Ci spinge a proteggere coloro che amiamo e le istituzioni e le leggi che amiamo. Inoltre, nel momento in cui riconosciamo di essere mortali, questo dovrebbe rammentarci che siamo profondamente uguali». Ciò mi suggerisce una spericolata associazione mentale con un singolare romanzo filosofico di Telmo Pievani, Finitudine (Raffaello Cortina), che parte da un soggetto assai originale: le visite in ospedale del grande scienziato Jacques Monod all' amico Albert Camus, fortuitamente scampato a un incidente automobilistico che, nella vita reale, ne determinò la morte. Tra i due si sviluppa una conversazione lunga ed elaborata, fitta di passione e di intelligenza, ma anche di incertezze e di dubbi, intorno al destino dell' uomo e alla sua inesorabile transitorietà. Il ragionamento è attraversato da lampi di nichilismo e, allo stesso tempo, di illuminismo (come sottolinea Emanuele Trevi in una recensione su La Lettura). Due atteggiamenti morali che solo superficialmente appaiono inconciliabili: essi, piuttosto, possono combinarsi e colluttare, dato che l' uno non vale a "moderare" e a rendere innocuo l' altro, bensì a sottoporlo a verifica e a metterlo alla prova. Tutto il dialogo - scritto benissimo - è uno scintillio di acume, privo tuttavia di alcun senso di superiorità: il fondo di severa disperazione, che unisce i due amici, non è compensato, certo, dall' autocompiacimento intellettuale, bensì è attenuato e appena confortato dalla volontà tenace di affrontare la tragedia - si potrebbe dire con la giusta dose di paura - e di contrastarla, senza rinunciare alla ostinata ricerca di vie di scampo. (La Repubblica)
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