Ragazzi, promettete a Dio e al Papa: mai bullismo!
Ai genitori: «Giocate di più con i vostri figli»
Il suo non è «solo» un appello, è una richiesta di promessa al Signore e al Pontefice per sconfiggere «questo fenomeno brutto». Papa Francesco chiede a gran voce ai giovani dell'Arcidiocesi di Milano: «Per favore, non praticate il bullismo e impedite che avvenga!». Lo invoca nel tardo pomeriggio incontrando i ragazzi cresimati allo Stadio Giuseppe Meazza-San Siro, ultimo appuntamento della sua visita pastorale a Milano di oggi, 25 marzo 2017.
Accolto da una bolgia da stadio, appunto, degli 80mila presenti, il Pontefice risponde ad alcune domande poste da un cresimato, da una coppia di coniugi e una catechista.
Il giovane chiede a Papa Bergoglio: «Quando avevi la nostra età, che cosa ti ha aiutato a far crescere l’amicizia con Gesù?».
Francesco esordisce nella sua risposta sottolineando che «Davide ha fatto una domanda molto semplice, a cui posso rispondere facilmente perché mi basta solo fare un po' di memoria dei tempi nei quali avevo la vostra età».
Sono «tre cose, ma con un filo che le unisce».
Innanzitutto i nonni: sono «vecchi, di un'altra epoca, non hanno il telefonino, non sanno usare il pc, ma secondo voi - chiede ai ragazzi - I nonni possono aiutare a far crescere l'amicizia con Gesù?». La risposta dei ragazzi è un grande «sì». I nonni «mi hanno parlato normalmente delle cose della vita. Un mio nonno era falegname», credente, e «così quando lo guardavo pensavo a Gesù». L'altro «nonno mi diceva: mai andare a letto senza dire una parola a Gesù, dirGli buonanotte». Le nonne e la mamma del Papa «mi hanno insegnato a pregare». Aggiunge e sottolinea: «I nonni hanno la saggezza della vita, e loro con quella saggezza ci insegnano come andare più vicino a Gesù».
Papa Bergoglio ribadisce «un consiglio: parlate con i nonni, ascoltateli, fate loro tutte le domande che volete, è importante in questo tempo parlare con i nonni».
Poi, la seconda fonte della fede del Pontefice è stato il gioco con gli amici: «Giocare bene è sentire la gioia del gioco, senza insultarsi, e pensare che così giocava Gesù. Ma vi domando: Gesù giocava o no?». «Sì». «Ma era dio... Giocava? Sì giocava, con gli altri. E a noi fa bene giocare con gli amici, perché quando il gioco è pulito si impara a rispettare gli altri, a fare squadra e a lavorare tutti insieme, e questo ci unisce a Gesù». Invece «litigare con gli amici aiuta a a conoscere Gesù?». «No». E «se uno litiga - è normale litigare - poi chieda scusa, e finita la storia».
Terzo, la parrocchia e l'oratorio: «Trovarmi con gli altri lì: è importante. A voi piace?». «Sì». «A voi piace andare a messa? C'è stato qualche no», ride il Papa.
Queste «tre cose vi faranno crescere l'amicizia con Gesù. Perché con queste tre cose si pregherà di più, e la preghiera è quel filo che unisce le tre cose».
Il Pontefice ricorda anche che una persona fondamentale per la sua fede è stato un sacerdote «di queste zone», il lodigiano don Enrique Pozzoli.
Alla domanda della coppia di coniugi, Francesco replica evidenziando che «gli occhietti dei vostri figli via via memorizzano e leggono con il cuore come la fede è una delle migliori eredità che avete ricevuto dai vostri genitori, dai vostri avi». Palesare «loro come la fede ci aiuta ad andare avanti, ad affrontare tanti drammi che abbiamo, non con un atteggiamento pessimista ma fiducioso»: è questa, per Francesco, «la migliore testimonianza che possiamo dare loro», perché, come dice un proverbio «le parole se le porta il vento, ma quello che pratico, sulla scorta di quello che avviene a Buenos Aires: «Dominguear», cioè «fare domenica» passando più tempo insieme con i propri figli», per esempio andando prima a messa e poi in un parco. La fede «si vive in un ambiente di famiglia che promuove la gratuità, il passare il tempo insieme. Questo non richiede soldi, al contrario, è l’invito a benedire lo stare insieme, che è una cosa bella. Ci possono mancare tante cose, però siamo uniti e questo è un insegnamento molto bello che possiamo fare». Molti «genitori devono lavorare anche il giorno festivo, e questo è brutto», rileva con amarezza e tristezza il Papa.
Poi aggiunge: «Non c’è festa senza solidarietà, come non c’è solidarietà senza festa»ì; e racconta nuovamente l’episodio della mamma che invita i suoi bambini a condividere le cotolette alla milanese (qui scatta una risata) con il povero che bussa alla porta.
Francesco esorta poi a gran voce i genitori a «giocare con i propri figli». Lo dice nel passaggio del dialogo tra il Papa e i fedeli dedicato alla frenesia della vita: «I genitori in questi tempi non possono, o hanno perso l’abitudine di giocare con i figli, di “perdere tempo” con i figli. Un papà una volta mi ha detto: “Padre, quando io parto per andare al lavoro, ancora stanno a letto, e quando torno la sera tardi già sono a letto. Li vedo soltanto nei giorni festivi”. È brutto! È questa vita ci toglie l’umanità». Un'altra raccomandazione: «Non dimenticatevi: quando voi litigate i bambini soffrono e non crescono nella fede».
Alla catechista che chiede: «Quali consigli può darci per aprirci all'ascolto e al dialogo» suggerisce un'educazione basata «sul pensare-sentire-fare. Cioè un’educazione con l’intelletto, con il cuore e con le mani». Occorre «educare all’armonia dei tre linguaggi al punto che i giovani, i ragazzi e le ragazze possano pensare quello che sentono e fanno, sentire quello che pensano e fanno, e fare quello che pensano e sentono».
E a proposito di educazione, il Pontefice racconta «che una volta in una scuola c’era un alunno che era un fenomeno a giocare a calcio e un disastro nella condotta in classe. Una regola che gli avevano dato era che se non si comportava bene doveva lasciare il calcio. Dato che continuò a comportarsi male rimase due mesi senza giocare, e questo peggiorò le cose. Un giorno l’allenatore parlò con la direttrice e le chiese che il ragazzo potesse riprendere a giocare. Lo mise come capitano della squadra. Allora si sentì considerato, sentì che poteva dare il meglio di sé e cominciò non solo a comportarsi meglio, ma a migliorare tutto il rendimento. Questo mi sembra molto importante nell’educazione». Perché «tra i nostri studenti ce ne sono alcuni che sono portati per lo sport e non tanto per le scienze e altri riescono meglio nell’arte piuttosto che nella matematica e altri nella filosofia più che nello sport. Un buon maestro, educatore o allenatore sa stimolare le buone qualità dei suoi allievi e non trascurare le altre».
E a conclusione del suo discorso, si sofferma su «questo fenomeno brutto: il bullismo. Ragazzi - domanda suggerendo un esame di coscienza - nella vostra scuola, quartiere c'è qualcuno a cui voi fate beffa, che prendete in giro perché ha qualche difetto? E a voi piace farlo vergognare e picchiarlo per questo? Questo si chiama bullismo». Il tono del Papà diventa particolarmente severo: «Per il sacramento della santa cresima fate la promessa al Signore che mai praticherete il bullismo e che mai permetterete che si faccia nella vostra scuola o quartiere? Lo promettete? Mai prendere in giro, farsi beffa di un compagno di scuola, di quartiere. Promettete questo oggi?». La risposta dello stadio è un forte «Sì», ma a Francesco non basta, «il Papa non è contento». Allora la risposta affermativa dei ragazzi cresce ulteriormente di volume, e così «ora avete detto sì al Papa», che aggiunge: «In silenzio pensate che cosa brutta è il bullismo, e pensate se siete davvero in grado di prometterlo a Gesù». (Domenico Agasso Jr - Vatican Insider)
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