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Quando è il vento a cambiare la storia

Roberto Zanini Pixabay
Pubblicato il 14-11-2020

I testi sacri fanno frequente riferimento a esso

Di tutti i fenomeni atmosferici forse nessuno affascina più del vento. I testi sacri fanno frequente riferimento a esso e spesso lo collegano a manifestazioni divine. La stessa parola "spirito", del resto, significa soffio, alito sia che la si consideri in greco che in latino. E se Elia intuisce la presenza di Dio in un "vento leggero", nello stupendo dialogo con Nicodemo che apre il capitolo 3 del Vangelo di Giovanni, Gesù afferma: «Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va: così è di chiunque è nato dallo Spirito».

Intorno al vento i greci hanno costruito un'intera mitologia. C'era il dio del vento Eolo, figlio di Poseidone, dio del mare, che è mosso dal vento ma è anche il luogo geografico che per un popolo del Mediterraneo era la fucina di tutti i venti. C'erano poi i singoli venti, gli "anemoi", ognuno dei quali legato ai punti cardinali, con un nome proprio e adeguata personificazione da divinità olimpica. Zefiro, il vento dell'ovest che portava la primavera, era un giovane vestito di fiori; Borea, il vento del nord che portava l'inverno era un uomo maturo che soffia in una conchiglia ed emette il suono della tempesta; Euro, vento del sud-est e dell'autunno, era un anziano avvolto in un mantello.

Nell'acropoli di Atene le personificazioni dei venti erano scolpite su una torre ottagonale (ancora esistente), ciascuna rivolta nella direzione di origine del vento. Era stata costruita nel primo secolo a.C. dall'astronomo Adronikos. Al suo interno funzionava un orologio ad acqua mentre sulla sua sommità una grande statua bronzea di Tritone (ecco il mare che ritorna) ruotava su un perno in base al vento indicandone con la coda la direzione di provenienza e quindi anche la sua raffigurazione. Una soluzione in grado di fare la moda in tutto il Mediterraneo nell'arco di pochi decenni. Più o meno cento anni più tardi quasi tutte le ville patrizie romane esibivano sul loro tetto un simile anemometro (da "anemoi", appunto) in cui la statua, ruotando su un perno che attraversava il solaio, indicava la direzione del vento sul soffitto della stanza sottostante decorato con una rosa dei venti. 

Nasce da qui l'uso comune della banderuola per indicare la direzione dei venti. Un oggetto che oggi è diventato essenzialmente decorativo ma che per tutta l'antichità romana, nel medioevo e fino all'invenzione del termometro e del barometro, è stato l'unico strumento scientifico di previsione del tempo. Unico ma efficiente, perché gli antichi già sapevano che i venti si muovono in senso antiorario così come tutti i vortici tempestosi che noi oggi chiamiamo depressionari. Di conseguenza guardando nella direzione del vento l'eventuale tempesta si troverà sempre a destra e da lì bisogna aspettarsi il suo arrivo in un lasso di tempo che può in qualche modo essere previsto sulla base della variazione di intensità e della direzione del vento stesso. Una tecnica indispensabile che con l'affermazione del cristianesimo in tutta Europa si modifica nella sua immagine esteriore. Sarebbe stato infatti papa Nicola I nel IX secolo a stabilire che sulle abbazie e sulle chiese la banderuola dell'anemometro doveva assumere la forma di gallo per ricordare a tutti e in quanto Papa a se stesso, il triplice tradimento di Pietro. In pieno Medioevo le banderuole sui castelli e sugli edifici pubblici vengono realizzate in forma di stendardi e bandiere metalliche con le insegne del casato o lo stemma cittadino. Passa ancora qualche secolo e si impone la moda in tanti ambienti rurali e cittadini, anche nobiliari, di decorare le banderuole con scene di vita rustica o corporativa. 

Una storia affascinante e ricca di curiosità quella dell'approccio dell'uomo al vento. La racconta, in maniera altrettanto affascinante (anche se con qualche prevenzione ideologico- religiosa) un vecchio libro (1984) del famoso zoologo e antropologo sudafricano Lyall Watson scomparso nel 2008 che Odoya ha il merito di aver adesso ripubblicato (aggiornandolo con numerose schede di approfondimento) col titolo Storia del vento. Un libro che sapientemente passa dalle conoscenze meteorologiche a quelle storiche, da quelle geografiche a quelle mitologiche, da quelle medico-psicologiche a quelle filosofico-antropologiche inquadrando il vento in tutti i suoi aspetti. Non mancano un completo dizionario dei venti e uno relativo ai nomi che assumono nelle varie aree geografiche. È interessante allora scoprire come i venti abbiano cambiato il corso della storia. Intanto perché l'uomo ha imparato l'uso della vela solcando mari e laghi prima di inventare la ruota e di sellare i cavalli. Se nella Roma del primo secolo d.C. ci sono tigri, rinoceronti ed elefanti nei circhi, pappagalli nelle case, spezie nel cibo e perle nei monili delle matrone è perché attraverso il Mar Rosso e il Mar Arabico navi a vela appositamente costruite per quei venti intrattengono commerci con l'India. Se Colombo nell'Europa del XV secolo giunge in America prima di ogni altro è perché capisce il flusso dei venti che attraversano il Mare Oceano al punto che le rotte da lui tracciate restano pressoché invariate per secoli. Ma il vento ha rivoluzionato la storia anche cambiando le sorti delle battaglie. 

Forse non avremmo mai avuto la grande fioritura artistica e culturale greca se Temistocle nel 480 a.C non avesse conosciuto l'Etesio, il vento annuale che sferza l'Egeo (oggi viene chiamato Meltemi), e non lo avesse sfruttato a Salamina mettendo in fuga con sole 300 navi la flotta di 1400 imbarcazioni dei persiani. Se il Giappone non fu invaso dai mongoli padroni dell'Asia fu per i tifoni che per due volte distrussero le flotte allestite dal Khan per l'invasione. Qualcosa di simile accadde all'Invincibile armata di re Filippo, provata da venti avversi abilmente sfruttati dal naviglio inglese. Oggi pensando al vento viene facile legarlo alle distruzioni operate a 300 chilometri l'ora dagli uragani. Ma già nell'antichità i cinesi usavano grandi aquiloni per spostare carichi pesanti e l'uso di ruote a vento in Occidente ha segnato l'incedere della civiltà. Sappiamo per esempio che nel III secolo a.C. Erone di Alessandria costruì un organo azionato da un rotore a vento con quattro vele e che nel II secolo a.C. in Persia esistevano pompe idrauliche a vento. 

Le prime macine per il grano (nei luoghi privi di idonei corsi d'acqua) erano collegate con un palo a vele disposte orizzontalmente. I mulini verticali con ingranaggi e pale collocate su torri arrivano fra XIII e XIV secolo. Grazie a loro la storia olandese cambia radicalmente rendendo possibile la bonifica dall'acqua di vastissimi territori "bassi". Nei secoli che seguono si arriva ad avere in azione in tutta Europa almeno 100 mila mulini a vento capaci di produrre farine, estrarre olio, pompare acqua dai pozzi, irrigare, estarre sale, azionare le stamperie, le segherie e i magli dei fabbri. Con la rivoluzione industriale il vento produttore di energia sembrava definitivamente accantonato. Oggi le pale eoliche, i moderni mulini a vento, sono tornati a battere l'aria rimescolando le sorti della storia e il vento ha ripreso il suo ruolo di generatore di civiltà, nuovamente pulita, nuovamente rinnovabile. (Avvenire)

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